La Croce ignorata

Difendere la Croce e l’identità cristiana è sempre più arduo in Italia e nella vecchia Europa. Contrariamente a quanto ritenuto dalla “Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco”, il simbolo della Croce non è affatto patrimonio esclusivo di una confessione religiosa. Bensì affonda le proprie radici nella coscienza etica di ciascuno, sia esso appartenente alla comunità cristiana o sia esso laico. In particolare, non vi è ragione per cui un laico non possa riconoscere di “amare la propria Croce”. Al di là del suo significato prettamente teologico, sarà inutile ricordare che la crocifissione è preesiste al supplizio di Cristo: quale metodo di esecuzione della pena di morte era utilizzata al tempo dei romani. Dunque non vale a connotare solo e soltanto una determinata simbologia religiosa, più di quanto non lo siano concetti quali tribolazione, patimento, travaglio interiore…

Questo è un messaggio che mira a trasmettere il riconoscimento del Crocifisso quale patrimonio immateriale dell’umanità: la tensione verso il compimento del proprio dovere quotidiano, a costo del suo sacrificio più estremo, nella consapevolezza però del suo messaggio vivificante. Al contrario, la “Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco” si è attestata su una posizione di pura e semplice opportunità politica. Senza avvedersi del fatto che, preservare il significato puramente teologico del Crocifisso, equivale invece a discriminarlo: difatti, è nell’esperienza comune del vivere quotidiano, nella prestazione professionale esemplarmente svolta, così come nelle cure prestate verso i bisognosi, che il Crocifisso prende vita. Ma tutto ciò, si ripete, non è appannaggio della sola cultura cristiana e non vi era alcuna intenzione di privilegiare detta simbologia rispetto ad altre confessioni religiose.

Devo anche sottolineare come i simboli cristiani siano costantemente sotto assedio. Frutto anche d’una progressiva marginalizzazione del messaggio cristiano, e d’una forte tolleranza politica verso confessioni religiose di segno fondamentalistico ed oltranzista. Qualcuno dell’Unesco ci ha voluto far credere che “le Terracotte e l’arte ceramica del distretto di Kgatleng, in Botswana” meritino l’inserimento nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità, più di quanto non lo meriti il simbolo della Croce. Se poi, come ex adverso riferito, la simbologia religiosa rientrasse davvero in quegli ambiti estranei alla considerazione dell’Unesco, non si comprende perché mai nell’anno 2012 si sia deciso di inserire tra il patrimonio dell’Umanità la Festa di San Francesco D’Assisi a Quibdó (in Colombia). In definitiva, è proprio la Commissione dell’Unesco (contrariamente ai propri valori fondanti) a darci l’immagine di un crocifisso discriminato. D’altro canto, vale il rilievo per cui se la sua importanza fosse davvero così scontata, la Commissione non avrebbe dovuto avere alcuna remora nel favorire la candidatura del Crocifisso a patrimonio dell’umanità. In considerazione di una progressiva opera di rimozione del messaggio cristiano di solidarietà, che ancora oggi merita di essere riaffermato, il Medic (Movimento Etico per la Difesa Internazionale del Crocifisso, rappresentato dallo scrivente) ha impugnato presso il tribunale amministrativo la decisione della “Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco”. In pratica è stato impugnato il provvedimento della “Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco” del 21/11/16, con il quale è stato deciso di non avviare la procedura finalizzata alla candidatura del simbolo del Crocifisso a “Patrimonio dell’Umanità”.

Una delle missioni dell'Unesco è quella di stilare una lista di patrimoni dell’umanità culturalmente importanti, che necessitano d’una salvaguardia urgente, in quanto fondamentali per lo sviluppo etico e la memoria storica della comunità mondiale. E proprio in considerazione del momento storico che stiamo vivendo, fatto di guerre, stati islamici, terrorismo, fughe di popoli... sarebbe auspicabile riconoscere il valore mondiale per l’umanità della Croce, simbolo unificante e vivificante. Non si vorrebbe che una scelta poco oculata dell’Unesco finisca per inficiare l’appartenenza e le radici stesse della comunità occidentale.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:04