Avviso di garanzia o garanzia dell’avviso?

Al netto delle furbate di Beppe Grillo, che più va avanti e più si scopre esattamente identico a tutti, con la sola ma grande differenza di essere più scaltro nell’intercettare l’esasperazione popolare, il problema resta.

In Italia, infatti, da Tangentopoli in giù il vero dilemma è sempre stato non l’avviso di garanzia, ma la garanzia dell’avviso. Qui non si tratta di essere giustizialisti o garantisti, ma di vivere in un Paese dove il funzionamento e la terzietà della magistratura siano efficienti e al di sopra di ogni pur minimo sospetto. Sono queste le due indispensabili condizioni che assicurano ai cittadini non solo la compiutezza dello stato di diritto, ma la fiducia piena in uno dei poteri fondamentali costituzionalmente sanciti. Inutile girarci intorno da almeno venticinque anni, da quando cioè esplose a Milano Tangentopoli, il corto circuito fra politica e giustizia non è mai stato risolto, tantomeno affrontato per essere rimosso.

Del resto, che nel nostro Paese il problema della politicizzazione della magistratura e della precarietà del funzionamento giudiziario siano due punti di grave opacità del sistema, è chiaro e noto. È chiaro e noto non solo per le testimonianze dei libri scritti da autorevoli magistrati, che con dovizia di particolari hanno spiegato il fenomeno delle “correnti politiche” in magistratura, ma dall’evidenza di sentenze forzate, irragionevoli, talvolta opache.

Dunque, negare un quid di parzialità degli organi giudiziari, più che risibile è inutile. Come se non bastasse, in Italia, a questo fenomeno che da solo rappresenta un vulnus grave, se ne è aggiunto nel tempo un altro altrettanto pesante, quello della lentezza e della contraddittorietà giudiziaria. È difficile, infatti, spiegare alle persone che cercano ristoro nella legge di fronte a ingiustizie subite, il perché di certe sentenze e del tempo necessario per emetterle. Basterebbe a titolo d’esempio pensare a quelli che si ritrovano inquilini morosi e non riescono a riprendersi casa, a chi deve recuperare un credito fraudolentemente negato, a chi subisce un furto domestico.

Basterebbe pensare ai casi degli istituti bancari che hanno depredato i risparmiatori, ai cittadini che si sono difesi da aggressioni criminali subite in casa, alle cause di lavoro, all’enormità di soprusi patiti col fisco. Basterebbe infine pensare ai criminali che usano violenza sulle donne fino all’omicidio, o che le molestano con brutalità, per chiedersi il perché di tante inspiegabili sentenze o provvedimenti. Non si capisce, infatti, il motivo di condanne tanto diverse in casi simili, così come troppo leggere in casi gravi, così come perché si proceda in troppi casi alla concessione di benefici inaccettabili.

Insomma, in Italia, che piaccia o no, il cittadino ha la netta sensazione che la giustizia sia più dalla parte dei colpevoli che degli innocenti, più di chi sbaglia che di chi ha ragione, più vicina a chi offende che a chi subisce. Per non parlare dei costi delle procedure che oggi hanno raggiunto livelli insopportabili e non ci riferiamo solo a quelli degli avvocati, ma ai costi amministrativi che hanno trasformato i cittadini in un bancomat per la giustizia. Ecco perché da noi si parla di giustizia ingiusta, di sfiducia nella magistratura e di frattura dello stato di diritto.

Sia chiaro, esiste una quantità di magistrati esemplari che rischiano la vita e si impegna fino all’estremo a difesa della collettività e delle istituzioni, esistono tantissimi giudici straordinari per dirittura, professionalità e dedizione; eppure il problema resta. Resta il problema di una giustizia in perenne scontro con la politica. Per carità, in Italia la politica ne ha fatte di tutti i colori ed è la ragione per cui siamo disastrati, non si conta, infatti, il malaffare e la disonestà che ha segnato il comportamento della classe dirigente. Tanto è vero che proprio la politica è la prima a temere la magistratura e questo la dice lunga su tanti atteggiamenti e titubanze incomprensibili. Del resto, se così non fosse, almeno uno dei governi degli ultimi vent’anni una riforma seria della giustizia l’avrebbe fatta o tentata e invece solo ritocchi, inezie o sciocchezze del tipo delle ferie ai magistrati.

Ecco perché al primo punto di una nuova proposta di modifica della Costituzione ci deve essere il nodo giustizia, nella trama e nell’ordito. Servono più risorse, più mezzi, più uomini e più tecnologie, ma serve anche la separazione delle carriere, la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, dei gradi di giudizio; servono tempi certi nei dibattimenti, serve la riforma dei codici. Serve una selezione e una formazione maggiore e più puntuale, serve una terzietà tecnicamente e non solo idealmente assicurata.

Per questo il problema non è e non può essere l’avviso di garanzia, come non può e non deve essere quello di un improbabile allentamento dell’immunità parlamentare, che semmai va tutelata di più. Politica e giustizia devono rigenerarsi, riformarsi, riqualificarsi di pari passo, l’una a garanzia dell’altra ed entrambi a garanzia dei cittadini, del diritto e della democrazia. Solo così sarà possibile un vero salto di qualità del sistema Paese. Del resto, senza una politica nobile e affidabile e una giustizia giusta ed efficiente, non c’è escamotage o furbata che tenga.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44