La prestigiosa Fondazione Luigi Einaudi è da alcuni giorni al centro di una guerra interna tra organi, presidenza e segreteria. Incontriamo Lorenzo Castellani, ricercatore, scrittore ed opinionista, da tempo incaricato dalla Fondazione a dirigere il Comitato scientifico.
Castellani, cos’è successo alla Fondazione Einaudi? Da meno di un anno lei era stato scelto come nuovo direttore scientifico.
In questi mesi la Fondazione Einaudi è tornata a fare attività, è tornata sui giornali. Purtroppo la personalizzazione e i piccoli obiettivi politici hanno superato i grandi scopi che ci eravamo dati. Il presidente Giuseppe Benedetto ha tentato in ogni modo di orientare gli scopi della Fondazione verso una politicizzazione che guardasse al sostegno di Matteo Renzi. Invece che investire sulla ricerca, si è scelto di investire su assistenti personali, che facevano il gioco della presidenza: concentrarsi nell’influenzare, corteggiare, promuovere ciò che si muove nella maggioranza di governo perché “il futuro è lì”.
E poi?
Si è tentato di costruire un Consiglio di amministrazione più favorevole alla linea politica della presidenza. Nell’ultima riunione del Cda alcuni consiglieri avevano sollevato delle obiezioni riguardo al piano finanziario - che non è stato rispettato - e alla personalizzazione e politicizzazione della fondazione.
In che modo la Fondazione Einaudi ha iniziato a orientarsi verso una sua politicizzazione?
Il presidente Benedetto ha iniziato ad avvicinarsi ad alcune realtà politiche, e nel Comitato scientifico ha voluto inserire quasi solo uomini del Partito Democratico. Non solo, senza consultare la direzione scientifica e la direzione generale sono state organizzate presentazioni di libri e altre attività insieme ad esponenti del centrosinistra.
La Fondazione aveva preso una posizione riguardo al referendum?
No, la presidenza ha scelto di non schierarsi per avere le “mani libere” nel post-referendum.
Lei in qualche modo è stato danneggiato da questa linea politica?
Mi è stato chiesto esplicitamente di non scrivere analisi sul centrodestra e partecipare ad eventi. Addirittura volevano impedirmi di partecipare ad eventi a cui avevo dato adesione ben prima di accettare la nomina della Fondazione Einaudi. Non ho mai fatto misteri sulle mie posizioni politiche.
Però lui con i politici poteva parlare.
Certo, i rapporti con Denis Verdini o Enrico Zanetti erano frequenti. Solo il presidente poteva dettare una linea politica.
Ma quali erano gli scopi politici di Benedetto?
L’obiettivo era quello di creare un piccolo partito liberale da alleare al Partito Democratico. In pieno stile “Prima Repubblica”, è quella la provenienza… E su questa linea politica non ha mai accettato critiche o mozioni.
Quindi la trasformazione della fondazione in un partito?
Non proprio. Ormai le fondazioni grazie alla possibilità di raccogliere fondi e organizzare eventi, possono rappresentare un sostegno concreto nelle competizioni elettorali.
Castellani, alla luce delle polemiche che ha sollevato, è stato sollevato dal suo incarico?
La situazione assurda è questa: il Cda è stato sostituito, Giovanni Orsina è stato rimosso dalla presidenza del Comitato scientifico, mentre io e Pietro Paganini siamo stati cancellati dal sito internet della fondazione, ma ufficialmente non vi è stato alcun provvedimento. Io sospetto che lui non lo voglia fare per non riconoscere il mio ruolo. Il rischio è una causa di lavoro.
Cosa succederà adesso?
Finché questa situazione non verrà chiarita, da tutti i punti di vista, compreso quello legale, non mi dimetterò.
Anche all’Istituto Bruno Leoni si sono avvicinati ex esponenti del mondo del centrosinistra. Il liberalismo viene apprezzato più da questa aerea che dal centrodestra?
Ci sono due fenomeni. Il primo è che i politici del centrodestra hanno fatto di tutto per allontanare il mondo della cultura liberale. I politici liberali che c’erano, dal primo Governo di Silvio Berlusconi fino ad Antonio Martino, sono stati emarginati. Il secondo è che la sinistra ha sempre avuto una capacità di organizzazione culturale molto più forte, oltre che una miglior capacità di sfruttare politicamente la cultura.
Sfruttare la cultura? Quindi gli intenti non ci fu redenzione?
Non credo. Molti esponenti dell’area di centrosinistra si sono affacciati al liberalismo per opportunismo. E qualche liberale ha trovato il modo di guadagnarci. Ma questo vale per tanti liberali, da quelli che stanno nei Cda di grandi aziende di Stato, a giornalisti più o meno compiacenti, uomini di cultura con alcuni incarichi di prestigio.
Perché sarebbe importante avere una fondazione che non sia politicizzata?
Possono esserci due modelli di fondazione. Puoi costruire una fondazione a sostegno di una personalità o idea politica, in maniera chiara ed esplicita. Come fece Renzi o Renato Brunetta. Quello è un modello che inizia e finisce con quel partito, con quel politico. E poi ci sono le fondazioni indipendenti. Non deve esistere una vita di mezzo, cioè quello che è diventata la Fondazione Einaudi, dove si è presa una realtà indipendente e prestigiosa e se n’è fatta una cosa che ammicca solo ad un determinato mondo e che promuove una linea politica. Un’altra soluzione è quella adottata fino a poco tempo fa dall’Istituto Bruno Leoni, che era quella di fare un centro di ricerca che lavora per il mercato, e quindi non per la politica. Questo avrebbe dato alcune garanzie di indipendenza. Chiaramente queste garanzie vengono date quando il soggetto riesce a costruire una percezione di prestigio ed indipendenza, significa non prendere alcun tipo di finanziamento pubblico né diretto né indiretto e professionalizzare le persone che lavorano. Significa che se faccio il ricercatore indipendente poi non posso fare il deputato o il ministro.
Lei ha manifestato più volte la volontà di contaminare il centrodestra con le idee liberali. Come è possibile farlo oggi?
È molto difficile farlo perché il liberalismo è in crisi non solo in Italia ma nel mondo. Questo rende la missione ancora più complessa. Io penso che non si possa fare con l’attuale classe politica, quella che gira nelle televisioni e circola nei partiti. Quello che si può fare è un’iniziativa molto netta sulle idee liberali che porti una nuova classe politica e dirigente all’interno di quel mondo lì, e che sostituisca uno spazio, quello del centrodestra moderato che ora è saturo e anche molto ristretto. Questo può essere fatto con una rottura abbastanza netta con quel mondo, uccidendo i nemici pubblici che tu decidi di scegliere.
Si parla molto di leader di centrodestra. Che proiezioni vede?
Sicuramente non può essere nessuno della vecchia Forza Italia. Stefano Parisi ha messo in campo un’idea secondo me interessante. Un consiglio non richiesto sarebbe l’invito a rompere con il vecchio mondo e crearsi dei nemici politici. Ed è fondamentale che Berlusconi non faccia il gioco dei due forni tra il partito e la società civile. Nel centrodestra Parisi è il politico che ha idee più liberali, ma ce ne sono altri, anche Daniele Capezzone. Chiaramente devi provare a riunire questo mondo qui. Evitando vecchi spiriti e vecchi esponenti.
Ai giovani che vogliono affacciarsi al mondo liberale cosa consiglierebbe?
Se ci fosse qualcuno così matto per farlo gli consiglieri di stabilire priorità e obiettivi. Si può essere liberali anche facendo gli assessori di un piccolo comune. La strada più ad ampio respiro potrebbe essere costruire una “casa dei liberali”, un modo di aggregarsi periodicamente, per scegliere la politica senza farsi cambiare dalla politica.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00