Che dalla Presidenza del Consiglio non siano arrivate sollecitazioni sul ministro Maurizio Lupi affinché rassegnasse le dimissioni, ormai sono pochi a crederlo. Se, infatti, le parole continuano ad avere un senso, l’idea dell’interim per riportare ordine a Porta Pia, non pare proprio un lusinghiero riconoscimento al lavoro svolto dall’ex ministro, né - tantomeno - la condivisione dell’agenda assunta da quel dicastero.
Un elegante “l’è tutto da rifare” che sembra far trasparire un giudizio assai liquidatorio e, con l’impegno del Premier a risistemare le cose per “lasciare al nuovo ministro una macchina in grado di correre”, una vera e propria scomunica per l’ex ministro. Ruggine, ruggine e ancora ruggine. Che tra il capo del Governo e il suo ministro non corresse “buon sangue” non era un mistero, ma che il Presidente del Consiglio ritenesse il dicastero a guida Lupi una macchina non in grado di correre, pochi potevano davvero immaginarlo. Anche perché molti degli sforzi profusi dall’Esecutivo per la ripresa: dallo "Sblocca Italia" all’Expo, erano stati condivisi proprio con il ministero delle Infrastrutture. Stranezze di una vicenda che - c’è da immaginarlo - potrà ancora destare sorprese.
Del resto il silenzio di Renzi e del ministro Alfano nelle ore del tam-tam mediatico e il mancato (forse per semplice “clamorosa” dimenticanza) ringraziamento pubblico di Lupi al leader del suo partito, un qualche significato (tuttora misterioso) devono pur averlo avuto. Così come - e per contro - l’idea di affidare a Lupi la responsabilità strategica di capogruppo alla Camera, nonostante le ripercussioni sismiche previste e puntualmente registrate nel Nuovo Centrodestra. Tutto fa sospettare che nuova ruggine sia alle porte.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:48