La città di Roma, a dispetto della sua storia millenaria, della sua arte, della sua cultura, del suo essere Capitale di un Paese stoicamente glorioso, del suo essere una fra le più grandi metropoli al mondo, è una città che – oggettivamente – ha numerosi e gravi problemi strutturali, infrastrutturali, di organizzazione politica, logistica. Il problema è annoso e risale almeno sin dai tempi dell'avvento della partitocrazia, ovvero allorquando l'Italia divenne una pseudo-Repubblica in balìa dei partiti e di politicanti talvolta corrotti, talaltra senza scrupoli. Lontani sono, in sostanza, i fasti della Roma Antica e di quella post-risorgimentale governata dal sindaco mazziniano, Ernesto Nathan. Non parliamo poi dell'ultimo Ventennio neo-burocratico: da Rutelli a Veltroni passando per Alemanno e Marino. Quattro sindaci che, oltre a non aver risolto nemmeno un decimo dei problemi di questa città, l'hanno addirittura completamente rovinata. E non ci si stupisca – infatti – dei vari Fiorito e dell'inchiesta “Mafia Capitale”!
La mafia, a Roma, in sostanza, è stata quasi legalizzata. E non ci si stupisca nemmeno del recente assenteismo dei vigili urbani, dei disservizi dell'Ama, dell'Acea, dell'Atac, ovvero di gloriose aziende pubbliche fondate proprio da Ernesto Nathan a beneficio dei cittadini - specie meno abbienti - e che nei primi anni del Novecento erano il fiore all'occhiello della città ed oggi invece sono spesso fonte di disagio per il cittadino-contribuente. Come tentare, quantomeno, di risolvere/arginare il problema? In modo ovviamente radicale e non con i renziani “decreti salva-Roma” che di fatto sono stati dei “decreti salva politicanti da strapazzo” e che sono costati ai contribuenti fior fior di quattrini!
Innanzitutto occorrerebbe chiamare a rispondere di tasca propria i Sindaci e le giunte che hanno malgovernato la città, facendo loro ripianare quantomeno parte del disavanzo pubblico e dei disservizi, oltre che dichiarandoli incandidabili ed ineleggibili per tutte le future tornate elettorali. Occorrerebbe poi abolire il perverso sistema delle gare d'appalto, foriero nel nostro Paese di corruttela, ovvero occorrerebbe far gestire i servizi pubblici direttamente ai cittadini stessi, attraverso apposite assemblee alle quali i residenti dei rispettivi Municipi potrebbero partecipare. In questo modo, ovvero rendendo i vari enti (Ama, Atac, Acea...) completamente autogestiti dai cittadini medesimi, il personale preposto – composto a sua volta di cittadini con pari diritti e doveri – diverrebbe a quel punto responsabile diretto nei confronti del servizio offerto. Se un dipendente è sgarbato o inefficiente, insomma, ne dovrebbe direttamente rispondere al cittadino a cui ha offerto il servizio inadeguato, pena una decurtazione dello stipendio o un possibile rischio di licenziamento. In questo modo, finalmente, i vari enti pubblici – a Roma, ma volendo questa cosa potrebbe essere estesa a tutte le città italiane – non sarebbero più soggetti al controllo politico, ovvero non rientrerebbero più nella cosiddetta “macchina del consenso” che, spesso, ha favorito l'assunzione dei cosiddetti “amici degli amici”. Le assunzioni potrebbero anzi avvenire semplicemente in modo trasparente, diretto, controllabile da parte di ogni cittadino residente, anche online volendo. Ed i servizi erogati, essendo controllati/autogestiti dai cittadini medesimi, difficilmente potrebbero risultare scadenti proprio in quanto a scapito del singolo e dunque della collettività nel suo complesso. Una proposta semplice, radicale, solo apparentemente utopistica in quanto siamo troppo abituati a delegare agli altri, anziché assumerci le nostre responsabilità. La medesima cosa vale peraltro per i sistemi elettorali: noi deleghiamo sempre ad altri, ai politici, ai governanti, con un voto che, di fatto, va spesso a favorire/eleggere il più ricco, il più paraculo, il politico che sa vendersi (o svendersi) meglio. Ma che, alla fine, si fa gli affari suoi e che spesso non ha mai lavorato in vita sua! Diversamente, con un sistema ricalcato sull'Agorà dell'Antica Grecia, ovvero fatto di assemblee popolari, di quartiere, senza un governo centrale e centralizzato, il cittadino-contribuente sarebbe costretto ad assumersi le sue responsabilità: civiche, civili, politiche, ideali, pecuniarie e così via.
Esempio di autogestione da parte dei cittadini - anche delle imprese private peraltro, oltre che di diversi servizi pubblici - esistono peraltro da diversi anni in America Latina (in Venezuela e Uruguay in primis). Paesi con una cultura peraltro non così dissimile dalla nostra ed ove sino ad alcuni decenni fa la corruzione politica la faceva da padrone.
Oltretutto è da Porto Alegre in Brasile che si è avuta, nel 1989, la prima esperienza di bilancio parcetipativo, ovvero la parcecipazione attiva dei cittadini nell'elaborazione della politica municipale. Altro che le solite chiacchiere da bar pseudo-partecipative del Movimento Cinque Stelle che, assieme a Pd e Forza Italia, si spartisce il potere in Parlamento, in sostanza! Occorrono fatti ed assunzioni di responsabilità da parte di una cittadinanza che deve imparare ad alzare la testa e a smettere di delegare al prossimo la gestione dei servizi di pubblica utilità.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:22