Il ribellismo dei sindaci

C’è un articolo su “La Stampa” del 9 ottobre scorso su cui è opportuno riflettere, a causa delle ultime polemiche che i media ci hanno recentemente evidenziato.

Ne è l’autore un libero docente di diritto penale, un magistrato italiano, un componente (per ben due mandati) del Consiglio Superiore della Magistratura, un giudice (anche qui per ben due mandati) della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Parliamo di Vladimiro Zagrebelsky.

Egli afferma che le “registrazioni” volute da alcuni sindaci, delle unioni omosessuali contratte all’estero, e ancor più le reazioni, orgogliosamente manifestate in TV, da questi sindaci che annunciavano che non avrebbero dato esecuzione alle disposizioni del Ministero degli Interni di cessare di registrarle e di annullare quelle già trascritte, sono un controsenso giuridico.

I sindaci, infatti, hanno una duplice funzione.

Come eletti dal popolo e come articolazioni locali del governo nazionale.

Come eletti del popolo, essi sono rappresentanti delle comunità locali, per cui possono e devono amministrare i loro territori realizzando i programmi proposti, soprattutto in periodo elettorale. Come articolazioni locali del governo nazionale, invece, essi devono osservare le disposizioni del Ministero degli Interni, non solo come tutti gli altri cittadini italiani, ma ancor di più perché sono proprio articolazioni locali del governo nazionale, e in particolare del Ministro degli Interni, in modo particolare per quel che riguarda gli atti dello stato civile.

Essi, se lo vogliono, evidentemente, possono concorrere a far cambiare o far abrogare, ma nelle sedi ad hoc deputate, le leggi vigenti.

La sentenza della Corte Costituzionale (la n. 138 del 2010), infatti, ha affermato che il matrimonio riconosciuto dalla Costituzione è quello fra un uomo e una donna, senza che, tuttavia, ciò escluda la possibilità che vi siano altri tipi di unione.

La posizione espressa dalla Corte Costituzionale corrisponde a quella della Corte Europea dei Diritti dell’uomo che riconosce la differenza tra matrimonio e unioni di tipo diverso, se queste ultime sono riconosciute e soprattutto disciplinate dalle leggi nazionali.

Dunque: 1°) il matrimonio è cosa diversa dalle unioni di altro tipo, come le coppie non sposate, omo o eterosessuali; 2°) queste ultime, poi, per essere riconosciute legalmente, devono essere regolamentate dalle leggi nazionali. E’ questo il diritto vigente.

E, in Italia, il Parlamento non ha ancora approvato una legge sulle unioni di tipo diverso dal matrimomio, soprattutto sui loro effetti civili (vedi un nostro precedente articolo del 19 luglio 2012), anche se nella pratica quotidiana il comportamento degli italiani, come spesso avviene, anticipa le normative di legge.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:50