Era nell’aria da qualche tempo. Ora è stata ufficializzata con tanto di comunicato stampa della Presidenza del Consiglio che ieri alla Camera ha iniziato la discussione sul decreto legge Imu-Bankitalia. Nel frattempo, aumentano le proteste per il provvedimento che, tramite la discussa rivalutazione del Capitale di via Nazionale, garantirà un guadagno compreso fra i 2,7 e i 4 miliardi. A chi andrà quest’utile immediato? Non alle solite banche. Questa volta in particolare sono solo quattro gli usufruttuari!
Oltre i 5 Stelle, anche Lista civica italiana ha lanciato una petizione rivolta al Premier Letta e al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con un comunicato dal titolo: “Giù le mani dalla Banca d’Italia”- “Chiediamo a tutti gli italiani di mobilitarsi per evitare la conversione in legge del decreto n.133 del 30 novembre che è già stato approvato dal Senato e che martedì 21 gennaio va in discussione alla Camera. A questo scopo invitiamo i cittadini a scrivere al capo dello Stato affinché non promulghi la legge e al Presidente del Consiglio affinché stralci dal decreto almeno la parte relativa alla Banca d’Italia”. Ma il perché di questa ricapitalizzazione non è ben facile da comprendere. Da una parte appare evidente che ancora una volta il Governo non ha nessuna intenzione di affrontare la tematica sulla indispensabile divisione tra banche d’affari e banche commerciali.
Per ovviare a questo e continuare sulla strada da tempo intrapresa delle lottizzazioni clientelari e del partitismo, preferisce svendere la Banca d’Italia a vantaggio solo di alcune banche. A guardare nei dettagli il decreto legge, se ne deduce un non motivato aumento di capitale della Banca d’Italia, i cui azionisti per legge (da quando è nata), sono e possono essere solo le banche. In termini pratici, se il decreto passa anche alla Camera il Capitale della Banca d’Italia passa dal valore di 156.000 € (questo è il valore che ancora oggi si legge sulla capitalizzazione della BdI), a quello nominale di 7,5 miliardi di Euro, attraverso l’utilizzo delle Riserve Statutarie, cioè di fondi pubblici.
Al fine di salvaguardare una non eccessiva distribuzione degli utili, chi partecipa al capitale (le banche e le fondazioni), a differenza dell’attuale situazione, il decreto legge prevede limitare la partecipazione delle banche, che non potrà superare in futuro una quota di capitale superiore al 5%. Sembra apparentemente una felice soluzione, perché limita il guadagno delle banche sulla suddivisione dei dividendi. In realtà è una vera e propria rapina! La Banca d’Italia, infatti, ad aumento capitale avvenuto, potrà (o dovrà) ricomprare le quote in eccesso dalle banche.
Poiché il 5% di 300.000 (quote capitale) è pari a 15.000, tutti coloro che detengono di più potranno (o dovranno!) “vendere” alla Banca d’Italia il surplus. Chi attualmente è al disopra di tale partecipazione sono: - Intesa Sanpaolo S.p.A.: 91.035 - UniCredit S.p.A.: 66.342 - Assi. Gen. S.p.A.: 19.000 - CR Bologna S.p.A.: 18.602 (sito BdI - partecipanti). A conti fatti la Banca d’Italia potrà riacquistare in “temporaneo prestito” circa il 45% del suo capitale sociale (oltre 130.000 quote), versando alle banche il corrispettivo!
È vero che le banche in questa maniera non avranno più problemi né in conto capitale, né in conto economico e potranno quindi facilmente superare gli stress test della Bce, ma l’operazione sembra proprio un’ennesima presa per i fondelli per gli italiani. Dal valore nominale attuale 0.50 € cadauna, secondo il decreto, le singole quote passeranno a 20.000 Euro, per poi essere successivamente ricomprate dalla Banca d’Italia. Dunque, a saldi invariati dopo l’aumento di capitale, 2,7 miliardi di Euro (soldi del contribuente) verranno (silenziosamente) trasferiti alle quattro banche menzionate. Inoltre, il ministro Saccomanni potrà tassare degnamente quest’aumento guadagnandone dall’operazione più di un miliardo di Euro che potrà convogliare per ridurre il deficit di quest’anno. Per finire, le banche potranno in futuro avere dividendi più sostanziosi.
In particolare, poiché il tetto del 5% non sarà più calcolato su 156.000 euro, ma su 7,5 miliardi, potranno fare affidamento su circa 450 milioni di dividendi. Non c’è dubbio che il Movimento 5 Stelle e Lista Civica Italiana stanno giustamente difendendo gli interessi degli italiani. Il problema però permane, perché purtroppo anche questa volta è il potere politico che si è costituito ancora una volta a difesa dei territori da loro conquistati da tempo: le banche e il sistema finanziario che ne consegue. Corriamo, dunque, il rischio che ancora una volta gli interessi della finanza politica prendano il sopravvento a spese del misero cittadino che sempre di più perde ricchezza, senza neanche rendersene conto.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02