L’intrigo dei Marò, fuori i dati radar!

Egregio direttore,

le scrivo replicando all’articolo intitolato “L’intrigo dei Marò imbarazza l’Italia”, apparso su L’Opinione il 4 gennaio. Le mie precisazioni sono doverose in quanto pur senza nominarmi si contesta il lavoro di analisi che ho fatto sulla vicenda (cito: “tutti pareri non rispondenti al vero”), e senza nessuna intenzione polemica ma solo chiarificatrice sui diversi punti di vista.

Il processo penale ha un suo schema preciso:

1) l’accusa esibisce le prove;

2) la difesa contesta l’impianto accusatorio;

3) se la difesa si vede soccombente tenta di derubricare le accuse (ad esempio: da omicidio volontario a preterintenzionale o colposo). Ma anche in quest’ultimo caso è ancora onere dell’accusa dimostrare la “volontà omicida” dell’accusato. Quindi è pacifico che in ogni “Stato di Diritto” l’onere della prova contro gli imputati è a carico dell’accusa in ogni fase processuale. Non entro nel merito sulla sostenibilità dell’analisi tecnica fatta dal capitano Diego Abbo, ma essa indubbiamente attiene al punto3) derubricando con opportune argomentazioni tecniche il carico sui due accusati dall’ipotesi di omicidio volontario a quella di omicidio colposo, e rimettendo a carico dell’accusa la prova della “volontà omicida”.

Se io fossi perito giudiziario della difesa e vedessi la mia parte soccombente a seguito dell’esibizione di prove incontrovertibili, farei esattamente la stessa cosa: ripoterei in carico all’accusa il dimostrare la “volontà omicida”. Non è astuzia, è la base del diritto nel processo penale. Ma questo dopo che l’accusa abbia fornito le prove sulla colpevolezza, non prima! L’analisi del capitano Abbo presuppone che la colpevolezza dei due Marò sia già stata dimostrata, a dire che essi effettivamente abbiano sparato contro il peschereccio St. Antony e ucciso i due pescatori. Il che non è. Dopo due anni gli inquirenti indiani non hanno potuto esibire “una” prova che le vittime siano state uccise dai due militari italiani. La Nia (l’agenzia antiterrorismo indiana) ha in carico le nuove indagini da marzo 2013 e continua a chiedere proroghe come immagino farà anche con la scadenza in programma oggi, 8 gennaio.

Ed è arrivata, la Nia, a chiedere l’incriminazione in base alla legge indiana “Sua Act” che non solo contempla la pena di morte (equiparando i due militari a “terroristi”), ma addirittura prevede il rovesciamento dell’onere della prova: sono i due imputati a dover dimostrare di essere innocenti, reintroducendo di fatto il processo dell’Inquisizione medioevale contro le streghe (alle quali appunto era demandata, pena il rogo, la prova di non essersi accoppiate col diavolo). Questo è un chiarissimo segno che gli inquirenti indiani non possono esibire nessuna “prova”, nemmeno quelle fasulle ingenuamente costruite nel Kerala escludendo platealmente i periti giudiziari della difesa dalla perizia balistica per decisione del Tribunale di Kollam il 29/2/2012, appena 14 giorni dopo i fatti. La mole degli elementi a difesa che ho potuto raccogliere in questi due anni è imponente e basandosi su “fonti aperte”, accessibili a chiunque, hanno il grosso pregio di essere da chiunque verificabili.

Chiunque può verificare ad esempio le dichiarazioni a caldo del comandante/armatore del peschereccio St. Antony che colloca la sparatoria ben cinque ore dopo il fatto della Lexie, o la mail della Guardia costiera indiana che da se stessa smentisce la propria ricostruzione su “la fuga e la caccia” della nave italiana o l’affondamento del peschereccio e quindi la dolosa distruzione dei reperti giudiziari, e così via. A questo link i lettori possono trovare il documento di “Sintesi” che rimanda alle analisi tecniche di riferimento, tutte depositate in Procura di Roma come “esposto-denuncia” fra il 13 marzo e il 3 luglio del 2013 (http://www.seeninside.net/piracy/pdf/sintesi_lexie_290713.pdf). In merito ai dati radar della Enrica Lexie, non vado dicendo che sono stati occultati. Al contrario, li ho formalmente richiesti alla Procura motivando adeguatamente fin dal 3 luglio dello scorso anno. Sono stato sentito a fine agosto su disposizione della stessa Procura ribadendo le motivazioni per le quali i dati radar possono scagionare i due militari fornendo una prova documentale incontestabile che quella barca non era il St. Antony.

È la stessa Procura, sia civile che militare, ad aver dichiarato in conferenza stampa a marzo 2013 di essere in possesso del computer di bordo della Lexie, nel quale il radar salva le sue registrazioni. Registrazioni radar in possesso anche degli inquirenti indiani che risulta abbiano fatto la copia dell’hard disk il 6 marzo 2012. Volutamente non scendo in dettagli tecnici, ma è bene ricordare che anche l’indagine sull’affondamento della “Andrea Doria” nel 1956 fu fatta esaminando i dati radar, e da questi venne la prova della responsabilità dello Stockholm. E tutte le indagini nel settore aereonautico, di cui ho fatto parte sia come perito di parte civile che per le Procure, si basano ovviamente sull’analisi dei dati radar.

Chiedendo di esaminare i dati radar non intendo generare polemiche contro chicchessia, ma colmare una gigantesca e inspiegabile lacuna nella ricostruzione dei fatti: avendo a disposizione praticamente il filmato di quello che è accaduto con una precisione infinitamente maggiore di quello che può essere ricordato da qualsiasi testimone, avendo a disposizione posizioni, rotte e velocità, volete che lasciamo tutto nel cassetto affidandoci alle testimonianze inattendibili dei pescatori (in un mese hanno dato quattro versioni diverse, tutte incompatibili con la posizione della Enrica Lexie) su una vicenda che può comportare pesanti condanne o addirittura la morte per i due imputati?

Parlo per esperienza diretta e personale: sulla vicenda di Ustica siamo stati quindici anni a guardare il cielo coi paraocchi (da giugno 1980 a ottobre 1995), per cui si capirà la mia ansia di vederci chiaro. Ed è ovvio che se esiste la prova documentale dell’innocenza dei due imputati questa non può rimanere inerte nel cassetto di chiunque. Per cui ribadisco: fuori i dati radar. Altrove ho letto che insistendo a scavare sulla vicenda si finisce per “indispettire gli indiani”. È un’ipotesi assai stravagante laddove l’India si vanta di essere la più grande democrazia del mondo, uno Stato di Diritto compiuto che si rifà al Common Law britannico. Quindi saranno felicissimi di questi contributi a far luce sulla vicenda. O sbaglio? Non entro nelle polemiche su quello che poteva o doveva essere fatto da parte delle autorità italiane, altri lo stanno facendo egregiamente e mi rimetto ai loro argomenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:04