Si sono sprecate in questi giorni molte similitudini tra l'operazione di “parbuckling” della Costa Concordia e la situazione del nostro paese, i tentativi di “salvarlo” dagli abissi della decrescita. Ma non mi pare sia stata evocata l'unica davvero appropriata. Se quella sulla Concordia è stata un'operazione perfettamente riuscita dal punto di vista ingegneristico, anche il governo Letta, come il governo Monti prima di lui, potrebbe (forse) riuscire nell'impresa dal punto di vista contabile, quindi a rispettare i parametri europei e a gestire il nostro enorme debito pubblico, ma il paese che riuscirà eventualmente a risollevare e a far galleggiare sarà, temo, soltanto un relitto.
Un esito scontato se la via del rigore e del risanamento non prevederà massicce dosi di riduzione di spesa pubblica e, quindi, di pressione fiscale. Purtroppo l'obiettivo della nostra classe politica, ma anche dell'alta burocrazia e delle corporazioni dominanti (sindacati e Confindustria) non sembra essere quello di evitare agli italiani un penoso futuro, ma quello di salvare la spesa pubblica, apportando aggiustamenti marginali sì, ma senza mettere in discussione la sua mole, quindi senza scalfire la rete di clientele e le rendite di posizione che garantisce a chi la gestisce.
Ecco perché piuttosto che il governo del fare, questo è il governo del rinviare, nella speranza che un po' la ripresa dell'export, un po' qualche fondo europeo, garantiscano quella crescita dello zero virgola che ci consenta di galleggiare, mentre in realtà ci condanna al declino e all'impoverimento relativo rispetto sia agli altri paesi europei che ai paesi emergenti. Insomma, la missione di questo governo sembra quella di far galleggiare il relitto Italia (come si sta facendo con il Concordia, riaddrizzato ma pur sempre un relitto). Stiamo ancora aspettando l'avvio della mitologica spending review, o del programma di dismissioni, o ancora l'attuazione dei costi standard, così come siamo in attesa delle coperture per la cancellazione della seconda rata dell'Imu e del promesso (entro il 31 agosto scorso) riordino sulla tassazione immobiliare.
Per non parlare dell'immobilismo su pensioni e stipendi d'oro, sui contributi alle imprese del rapporto Giavazzi, insabbiato dal Ministero dello Sviluppo, con il silenzio complice di Confindustria, per impedire lo scambio “meno politica industriale” (sussidi per pochi) – “meno tasse” (per tutte le imprese). Pare sia “inevitabile”, invece, l'aumento dell'Iva dal 21 al 22%, già l'aliquota più alta d'Europa. Il commissario europeo Rehn sembra essere stato “calato” da Bruxelles proprio per benedire la decisione del governo Letta di non evitarlo – a meno che non sia un patetico escamotage per far gridare al miracolo quando ne verrà annunciato l'ennesimo rinvio al primo gennaio o aprile o luglio 2014.
Soldi non ce ne sono, eppure il governo Letta-Alfano è riuscito a trovare le risorse per ulteriore spesa pubblica, dalla stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione al decreto sulla scuola, passando per i fondi alla cultura e altre micro-spese che sommate non sono così trascurabili. Nel frattempo i ministri del Pdl, che proprio il vicepremier Alfano (il più distratto tra i suoi colleghi ministri pidiellini nel farsi passare sotto il naso ogni sorta di balzello) ha avuto l'impudenza di definire il “fortino antitasse” nel governo, si stanno rivelando un partito della spesa.
Lupi sta preparando un piano quinquennale per il rinnovo del parco mezzi pubblici e privati su gomma con incentivi per 500 milioni (metà di quanto servirebbe per bloccare l'aumento dell'Iva fino a dicembre). La De Girolamo un pacchetto di incentivi e formazione per l'assunzione di “giovani” (under 40) nell'agricoltura «figa» (qualunque cosa significhi...). E' vero, il Pdl è comprensibilmente preso dalle vicende del suo leader, ma sembra proprio non riuscire a darsi una linea salda su tasse/spesa e riforme istituzionali, nonostante i generosi sforzi di qualcuno non vadano dimenticati.
Non ci iscriviamo però alla folta schiera di quanti non si rendono conto, o fingono di non accorgersi, che il caso Berlusconi non riguarda solo il cittadino e il politico Berlusconi. Sono in gioco valori fondamentali per qualsiasi democrazia, che rischiano di essere travolti insieme al controverso leader, e chissà per quanto tempo di restare sepolti. Stiamo assistendo all'inizio della fase più cruenta del giacobinismo italiano e non possiamo dire oggi se, e quando avrà fine. Abbiamo la sensazione però che, una volta montata, la ghigliottina giustizialista resterà in attività a lungo, anche molto dopo l'uscita di scena del Cav.
Dunque, non rimproveriamo a Berlusconi e ai suoi di voler tenere il punto, di aggrapparsi con le dita di mani e piedi allo scoglio per non farsi trascinare via dalla corrente, ma di avere sostanzialmente smesso di porsi, e di proporre ai cittadini, obiettivi politici di maggiore appeal. Di non rendersi realisticamente conto che per quanto sulla giustizia rischiamo davvero di giocarci definitivamente la democrazia nel nostro paese, l'unico orizzonte su cui sono fissati gli occhi dei cittadini è comprensibilmente quello della crisi economica, delle politiche per uscirne, del lavoro, delle tasse e della spesa pubblica.
Il sequestro ordinato dal gip di Taranto, che ha costretto il gruppo Riva a sospendere le attività di stabilimenti che nulla c'entrano con l'Ilva, essendo di fatto bloccata la sua operatività finanziaria in tutta Italia, conferma che la magistratura ideologizzata e politicizzata non resta circoscritta al caso Berlusconi e non cesserà di esserlo con la decadenza di Berlusconi. Tende semmai ad estendere il proprio raggio d'azione al di fuori della sfera politica in senso stretto, fino al punto di danneggiare gravemente settori vitali della nostra economia. Non si accontenta di far fuori un avversario politico, sta distruggendo, e non da oggi, ciò che rimane del nostro sistema industriale, e con esso migliaia di posti di lavoro, arrivando a minacciare il principio, e l'esercizio concreto, della libertà d'impresa.
E per farlo non esita a disapplicare o aggirare le leggi dello Stato. Non illudiamoci di non pagare il caso Ilva anche in termini di fuga di realtà produttive – italiane e straniere – dall'Italia, una via sicura per il nostro definitivo declino. Per non parlare dei veri e propri attacchi terroristici di cui sono vittime le imprese che lavorano nel cantiere Tav in Val di Susa, che non ricevono dallo Stato adeguata protezione. Su tutto questo, nonostante l'evidente aggressione della magistratura politicizzata anche alla nostra economia già agonizzante confermi le sue tesi sulla giustizia, il Pdl è rimasto pressoché in silenzio.
Mentre il governo studia interventi legislativi – un custode giudiziario cui spetterebbe di guidare in tutto e per tutto l'attività produttiva, l'impresa – che rischiano di ratificare di fatto una forma di esproprio per via giudiziaria, per di più nella fase delle indagini preliminari, non solo senza una sentenza ma senza nemmeno un processo.
L'azione della magistratura di Taranto ormai si è trasformata in lotta di classe contro i Riva e lotta di potere contro Governo e Parlamento. Se il metodo adottato dai magistrati e gli espedienti normativi del governo Letta diventano “sistema”, è tracciata la via italiana alle nazionalizzazioni. Davvero per eliminare Berlusconi dalla scena politica non si vuole riconoscere la deriva ideologica e faziosa di parte della magistratura? Ne vale davvero la pena?
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:24