Con le misure varate per il lavoro e le coperture-beffa del rinvio di 3/6 mesi dell'aumento Iva il governo Letta ha toccato vette di presa per i fondelli forse mai raggiunte prima. Innanzitutto, se si biasimava l'ultimo governo Berlusconi per la cosiddetta politica degli annunci, bisogna osservare che sia Monti che Letta non sono da meno: ormai a Palazzo Chigi si approvano comunicati, slogan, mentre per i testi si aspettano giorni, tanto che viene da chiedersi chi effettivamente abbia l'ultima parola su di essi. Dal governo delle “larghe intese” al governo dei “larghi acconti” e dei “lunghi rinvii”. E' possibile che le scelte compiute sull'Iva siano ancor più dannose per la nostra economia dell'aumento al 22% che era previsto dal primo luglio.
Non essendo del tutto scongiurato, infatti, il rinvio in sé non rappresenta quel segnale di inversione di tendenza nella politica fiscale che può mutare, aumentandola, la propensione al consumo e agli investimenti. Il segnale, semmai, rischia di essere di segno opposto. La decisione, poi, di “coprire” il rinvio aumentando in modo surreale gli acconti Irpef/Ires/Irap costringerà tutti i soggetti interessati – imprese, lavoratori autonomi, possessori di conti corrente – ad accantonare per la scadenza di novembre ulteriori 2,6 miliardi di euro, calcola la Cgia di Mestre, da anticipare all'erario. Il che vuol dire meno liquidità proprio per quei settori che più soffrono per la stretta del credito da parte delle banche. Per non parlare dell'assurdità logica di acconti che ormai hanno raggiunto il 100% (Irpef), o l'hanno addirittura superato (Ires e Irap al 101% e ritenute su interessi di conti correnti e depositi al 110%). Ora, immaginate la situazione: state acquistando un abito o una lavatrice da 600 euro, e il negoziante vi chiede un acconto di 660, assicurandovi che vi restituirà la differenza dopo un anno. Quale sarebbe la vostra reazione? Il premier Letta ci tiene a precisare che non si tratta di nuove tasse, ma solo di anticipazioni rispetto al saldo calcolato sulle dichiarazioni di giugno 2014 (ma gli eventuali rimborsi arriveranno solo tra settembre e novembre).
Una beffa doppia per quelle imprese che ancora aspettano decine di miliardi di pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche, e che ora si vedono costrette a concedere ulteriore credito al loro debitore. Un “acconto”, infatti, superiore al saldo, quindi di fatto un acconto a 2 anni, non è altro che un “prestito forzoso” allo Stato, a cui bisognerebbe applicare i relativi interessi. Ma non solo acconti maggiorati. Anche una super-tassa di consumo, pari al 58,5% del prezzo di vendita, sulle sigarette elettroniche, di fatto equiparate a quelle di tabacco, e la possibilità di aumento dell'addizionale Irpef per regioni e province a Statuto autonomo. Dunque, in totale continuità con le manovre dei passati governi, il 78% della copertura, calcola il “Sole24Ore”, arriva da nuove tasse. Resta bizzarro, ma diremmo politicamente ed economicamente criminale, che su oltre 800 miliardi di euro di spesa pubblica prevista nel 2013 il ministro dell'economia non riesca a trovare 4 miliardi per cancellare l'aumento dell'Iva. Prima Monti, ora Saccomanni e Giovannini, sono soprattutto i tecnici a deludere. Resterà un mistero, infatti, perché da premier e da ministri fanno l'esatto contrario delle cose, quasi sempre giuste, che suggerivano alla politica dal loro ruolo di “tecnici”, alla Banca d'Italia o all'Istat. Anche il pacchetto per il lavoro è risibile.
Con l'economia in caduta, nessuna politica in atto per risollevare la domanda, e nessuna riforma in vista per rendere flessibile anche in uscita il mercato del lavoro, quale impresa si accollerebbe “a vita”, cioè assumendolo con contratto a tempo indeterminato, un giovane tra i 18 e i 29 anni, quindi si presuppone privo di esperienze lavorative, per soli 18 mesi di sconti contributivi, senza la prospettiva di una diminuzione strutturale del costo del lavoro? Questi incentivi saranno d'aiuto per lo più agli imprenditori che decideranno di assumere i loro figli ventenni. Se non altro parte dei fondi potrebbero restare inutilizzati. Le ultime stime macroeconomiche di Confindustria delineano un quadro di tale gravità della crisi in atto che le misure varate dal Governo, e il suo approccio complessivo, appaiono nella migliore delle ipotesi inadeguate. Un ulteriore calo del Pil dell'1,9% quest'anno, dopo quello già drammatico del 2012 (-2,4%), non rappresenta purtroppo nemmeno un rallentamento della caduta della nostra economia, che dovrebbe cominciare a riprendersi – ci viene assicurato, come ogni anno – nel IV trimestre. Peccato che anche nell'ultimo trimestre del 2012 avremmo dovuto riprenderci. Possibile che la ripresa arrivi sempre nel IV trimestre? Peccato non sapere di quale anno! Disoccupazione dal 12,2% di quest'anno al 12,6% del prossimo, con 817 mila occupati in meno rispetto al 2007.
E, ovviamente, una pressione fiscale effettiva insostenibile, il 53,6%, record nell'intera storia delle democrazie occidentali. Questi dati confermano che la via al risanamento attraverso l'aumento delle tasse anziché i tagli alla spesa, intrapresa dal governo Monti e non ancora invertita dal governo Letta, non solo deprime il potenziale di crescita, ma finisce per compromettere gli stessi obiettivi di bilancio che si prefiggeva. E mentre è totale il nostro immobilismo sul fronte della spesa, nel Regno Unito il governo Cameron già programma i tagli alla spesa per il 2015-2016. Altro che prendersela con i “paradisi fiscali”, la politica dovrebbe preoccuparsi di combattere l'“inferno fiscale” in cui siamo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44