Tv e giornali sono pieni di commenti sull'assurdità, o quanto meno sull'eccessiva severità, della condanna inflitta dal Tribunale di Milano a Berlusconi per il caso Ruby, e di sottili analisi politiche sull'impatto che potrà avere la sentenza sulla vita del governo Letta, su quelle “larghe intese” favorite dalla promessa di un processo di “pacificazione” tra Pd e Pdl, proprio a partire dalla figura del Cav. Certo, non può non balzare agli occhi l'estrema debolezza degli elementi probatori a sostegno delle tesi dell'accusa, tanto che c'è del grottesco nel fatto che i giudici per coerenza con la loro sentenza di condanna abbiano dovuto accusare di falsa testimonianza decine e decine di testimoni, compreso il commissario di polizia Giorgia Iafrate, che ha sempre negato di aver subito pressioni per il rilascio di Ruby da parte dell'ex premier.
Così come è certo che non tanto dal campo berlusconiano, quanto piuttosto da sinistra arriveranno i maggiori pericoli per il governo Letta: come si può governare insieme al partito di Berlusconi dopo questa sentenza che lo addita come criminale? Chi per ambizioni personali (vedi Renzi), chi per puro antiberlusconismo e giustizialismo, in molti si impegneranno a delegittimare, a provare l'impraticabilità politica delle “larghe intese”. Ma non si vuole qui entrare nel merito del processo Ruby o degli effetti politici della sentenza. Ciò su cui vogliamo concentrarci è la pericolosa illusione in cui molti liberali, o troppo ingenui o in cattiva fede, rischiano di indugiare. Ci si illude – molti in buona fede anche nell'area di centrodestra – che il protagonismo politico di certe procure sia dettato dall'“anomalia” Berlusconi. A torto o a ragione, ce l'hanno con lui. Una volta fatto fuori, tutto tornerà normale. Anzi, una volta spezzato questo incantesimo, rotto questo perverso equilibrio per cui berlusconiani e antiberlusconiani si sorreggono a vicenda, si potrà persino riformare la giustizia. La realtà purtroppo è molto diversa. Proprio ora che sta riuscendo, dopo vent'anni di accanimento mediatico-giudiziario, a mettere all'angolo Berlusconi, aprendo per lui addirittura la prospettiva non più solo teorica del carcere, la magistratura è più che mai “coperta” e intoccabile politicamente.
Il punto è che accrescendosi il suo ruolo politico, si accresce fatalmente anche il suo potere di interdizione rispetto a qualsiasi tentativo di riforma organica della giustizia. Nonostante non abbia mantenuto le promesse di una riforma generale, e in senso liberale, della giustizia (non vuol essere questa la sede per soppesare colpe e attenuanti), Berlusconi ha sempre rappresentato un vero e proprio argine – quasi fisico – allo strapotere e al ricatto della magistratura sulla politica. All'orizzonte del dopo Berlusconi non si scorge l'eroe che realizzerà i “sogni” che il Cav ha mancato di realizzare, né la normalizzazione dei rapporti tra politica e giustizia che molti auspicano. Fuori causa Berlusconi, nessun altro leader ad oggi sembra disporre delle risorse, economiche e di consenso popolare, per resistere un solo mese agli assalti di qualche magistrato politicizzato o solo ansioso di farsi pubblicità. I futuri leader di centrodestra – in modo direttamente proporzionale alla loro determinazione nel voler riformare la giustizia – continueranno ad essere molestati giudiziariamente. E quelli di centrosinistra saranno tenuti per le palle dalla casta dei giudici e dall'estremismo forcaiolo.
Si scoprirà allora che la vera anomalia italiana è il protagonismo politico di certe procure, una magistratura che da ordine autonomo e indipendente come prevede la Costituzione, si è trasformata in un vero e proprio “contro-potere”, del tutto fuori controllo, ab solutus, dunque tecnicamente antidemocratico e golpista, che impedirà qualsiasi riforma lo riguardi, rendendo impossibile governare a qualsiasi leader di centrodestra e tenendo in ostaggio il centrosinistra. Un'anomalia che non inizia con Berlusconi e non finirà con lui. Altri leader del campo “moderato”, o semplicemente non comunisti, prima di lui, come Craxi e Andreotti, sono stati sottoposti ad una persecuzione mediatico-giudiziaria simile. Con sentenze come quella di lunedì sul caso Ruby, le procure ipotecano la Terza Repubblica, una Repubblica delle Procure, in cui nessun Parlamento potrà permettersi neanche di discutere una riforma della giustizia sgradita alla magistratura; in cui qualsiasi governo – non credo solo di centrodestra, ma soprattutto di centrodestra – sarà letteralmente sotto il loro ricatto. La nostra rischia di diventare rapidamente, ancor più di quanto non lo sia stata dal 1992 ad oggi, una democrazia sotto tutela da parte di poteri non espressione della volontà popolare. Persino sui singoli parlamentari peserà il pre-giudizio della magistratura, basterà un avviso di garanzia o una richiesta di arresto preventivo per estrometterli dalla vita politica, quasi come in Iran, dove spetta al Consiglio dei Guardiani l'ultima parola sulle candidature.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:12