Ma di che stiamo parlando? Al di là del merito della questione – si può essere a favore o contro lo sforamento del tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil imposto dall'Ue – è esattamente questa la richiesta italiana a Bruxelles. Non è una provocazione di Berlusconi: il partito dello sforamento del 3% è non solo bipartisan, ma trasversale nella società italiana. Come lo è, purtroppo, il partito della spesa. Quando si chiede all'Europa la “golden rule”, cioè lo scorporo dal calcolo del deficit dei cosidddetti «investimenti pubblici produttivi» – ed è una richiesta che sembra mettere d'accordo proprio tutti: partiti, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, economisti da salotto tv, i giornaloni voce dell'establishment così come i fogli d'opinione di centrodestra e di sinistra – non si sta forse chiedendo il permesso di sforare il 3%? Il ministro per gli affari europei Moavero ha spiegato alcuni giorni fa alle commissioni parlamentari competenti cosa si impegnerà ad ottenere il governo Letta dalla Commissione Ue e dal Consiglio europeo del 27 e 28 giugno: non solo di poter utilizzare il margine che si aprirà nel 2014 tra il rapporto deficit/Pil previsto (2,4%) e il tetto del 3% (quindi uno 0,5%), ma anche di dedurre dal deficit i 12 miliardi di cofinanziamenti nazionali ai 31 circa dei fondi strutturali europei ancora da spendere entro il 2015. Di sforare il tetto del 3%, insomma, come ha suggerito Berlusconi.
Anzi, se Letta è sveglio i toni dell'ex premier potrebbero fargli gioco con i partner europei: “Vedete? Se non mi venite incontro, il malcontento nei confronti dell'Europa potrebbe crescere e l'alternativa al mio governo sarebbe meno affidabile”. Tanto più che il suggerimento dell'ex premier sembra riprendere quello che non più di un mese fa, il 17 maggio scorso, compariva sulla prima pagina del “Corriere della Sera” a firma AlesinaGiavazzi: «Quel 3% non sia un tabù». Per i due economisti non vale la pena impiccarsi alla soglia del 3%, perché dal momento che quest'anno saremo sotto d'un soffio, non ci saranno comunque margini per ridurre le imposte. La chiusura della procedura di infrazione da parte della Commissione Ue avrà un effetto quasi solo simbolico: «A parte una questione di orgoglio, non ne guadagneremmo sostanzialmente nulla. Non si riduce la disoccupazione con l'orgoglio».
Quindi suggeriscono al ministro Saccomanni di «puntare alto, non perdersi con i decimali». In pratica, di dire a Bruxelles: noi sforiamo, ma per attuare un piano, da voi verificabile, di tagli alle tasse (50 miliardi: sufficienti ad abolire l'Imu sulla prima casa, evitare l'aumento Iva e a cancellare l'Irap) e alla spesa (un punto di Pil all'anno per tre anni). Certo, la Commissione non chiuderebbe la procedura di sorveglianza, dovrebbe approvare il piano e verificarne l'effettiva attuazione, ma sarebbe il “nostro” piano e, soprattutto, ben più di una speranza di tornare a crescere. «Di questo Saccomanni dovrebbe discutere a Bruxelles, non della seconda cifra decimale del rapporto deficit/ Pil».
Dunque, sforare il tetto del 3% non è di per sé un peccato mortale né un'eresia. Dipende: per fare cosa? Per una pioggerellina di investimenti pubblici che gli euro-burocrati e i politici italiani ritengono «produttivi» e che hanno già dimostrato in passato di non funzionare, come grandi opere difficili da avviare o una miriade di contributi e bandi per progetti inutili? E' proprio questo, purtroppo, che il governo Letta si prepara a chiedere e l'Europa, forse, a concedere. No, grazie, abbiamo dato. Sforare, invece, ha senso solo per tagliare le tasse a cittadini e imprese.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:22