Nella partita per il Colle è venuto fuori un Renzi che sospettavamo, ma che fino ad ora non avevamo conosciuto: è entrato in gioco con due occhi ben aperti sulle sue ambizioni e con una massiccia dose di tatticismo da vecchia politica. Bersani ha usato l'elezione del capo dello Stato per cercare di entrare a Palazzo Chigi, il sindaco di Firenze l'ha usata per far fuori Bersani. Contribuendo in modo decisivo a bruciare la candidatura di Marini ha forse ha vinto un set, o meglio un singolo game, essendo – forse – riuscito ad abbattere il “cavallo ferito”. Ha ripetuto innumerevoli volte di volersi conquistare la leadership nelle primarie, in una competizione all'“americana”, a viso aperto, e invece ha fatto ricorso come tutti, come da tradizione italiana, ai giochi di palazzo e alle correnti di partito, a cui aveva giurato di non voler partecipare.
Nel momento in cui scriviamo, non è ancora detto che Prodi ce la faccia. Ha bisogno di una manina o dal M5S (che sembra confermare la candidatura Rodotà) o da “Scelta Cinica” (che ha candidato ufficialmente la Cancellieri, anche se il “prodiano” Riccardi si è già attivato...), e non si può escludere che qualcuno nel Pd sia tentato di fare un dispetto sia al professore che al giovane sindaco in un colpo solo. In ogni caso, sostenendo l'elezione di Prodi al Quirinale Renzi ha dismesso i panni del grande rottamatore e ha vestito quelli del grande restauratore. Condanna l'Italia a 7 anni di Prodi, che sarebbe un presidente estremamente divisivo, da vera e propria “guerra civile”, solo perché convinto che sbarrando la strada a un candidato condiviso tra Pd e Pdl, e quindi ad un governo subito (come lui stesso sembrava invocare per il bene del paese), si tornerà molto presto al voto e potrà essere lui il candidato premier del centrosinistra: 7 anni di Prodi al paese, in cambio della vaga possibilità di una candidatura a premier. A questo punto Renzi sembrerebbe il leader ideale per “Scelta Cinica”. Ma il colmo è che il suo calcolo potrebbe essere sbagliato.
Imprevedibili, infatti, le mosse di Prodi una volta eletto presidente. Potrebbe persino dare a Bersani (o a qualcun altro del Pd) una chance per andarsi a cercare i voti dei grillini al Senato, o comunque ritardare lo scioglimento delle Camere, o ancora cercare di governare lui stesso dal Quirinale, formando un governo del presidente. D'altra parte, il precedente di Napolitano con Monti è una breccia che si presta ad essere allargata da un professore dall'ego smisurato come Prodi. Insomma, Renzi potrebbe anche non ottenere un ritorno alle urne così ancitipato come vorrebbe. Ma al di là dei suoi calcoli personali, dire “no” a Marini e “sì” a Prodi significa per Renzi negare l'essenza stessa della sua sfida alla vecchia politica e alle vecchie idee della sinistra. Se appaiono fondati i suoi argomenti contro l'ex presidente del Senato (un candidato che certo non appassiona), gli stessi valgono contro Romano Prodi, che esattamente come Marini corrisponde al profilo di politico che secondo i canoni renziani sarebbe ora di rottamare senza esitazioni.
Con la differenza che l'ex premier è già stato rottamato e si tratterebbe di riciclarlo. Due volte presidente del Consiglio, controverso manager di Stato, collante di una fallimentare coalizione di governo, anche lui ultra-settantenne e di estrazione cattolica. Prodi rappresenta forse la “visione di paese” che ha in mente Renzi? Il segnale di “cambiamento” che gli italiani aspettano? O piuttosto non è, anche lui, un “dispetto”, per almeno la metà degli italiani, e un “candidato del secolo scorso”? L'unica differenza è, appunto, l'antiberlusconismo, che fa di Prodi il presidente ideale per scongiurare qualsiasi formula di intesa tra Pd e Pdl e, dunque, rendere più probabile il ritorno alle urne. Ma anche Prodi rappresenta la vecchia politica e le vecchie contrapposizioni, tutto ciò che della sinistra Renzi ha sempre dichiarato di voler superare, anzi rottamare.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:55