La questione dei due fucilieri di Marina presi in ostaggio dagli indiani e dal loro punto di vista in “permesso speciale” di quattro settimane in Italia per potere adempiere al voto stava assumendo toni da farsa a cominciare proprio da quest’ultima concessione, inutile in quanto avrebbero potuto votare in Ambasciata, spropositata perché quattro settimane per votare sono veramente eccessive per le normali code ai seggi elettorali. Questo clima da farsa, che ormai sembra prassi nella vita nazionale, ha provocato come reazione al diffuso disagio per la surreale situazione un esposto presentato alla Procura di Roma dall’avvocato Emanuele Tomasicchio e dal generale Fernando Termentini, volto a chiedere una qualche forma di provvedimento restrittivo nei confronti dei due fucilieri “in permesso” in Italia in modo da impedire una nuova loro estradizione in un Paese, in cui, per i reati loro ascritti, vige la pena di morte.
Ritenuto da taluni commentatori uno stratagemma finalizzato ad una “soluzione all’italiana” ha finito con lo scardinare la sinora imperante ragione politica dei “superiori interessi”, inchiodando tutti alle loro pesanti responsabilità in relazione alla rivendicazione di giurisdizione, che è un aspetto cardine del concetto di sovranità. Cosa è cambiato con l’esposto Tomasicchio-Termentini? Il primo importante elemento è che la Magistratura italiana è stata con un atto formale chiamata ad esprimersi sulla questione giurisdizionale. La questione è stata ora superata dalla decisione politica, che sembra fermamente voluta dal ministro Giulio Terzi di Sant’Agata in un insolito ruolo di “non basso profilo”, che ha informato l’India della decisione italiana di non nuovamente estradare i due militari allo scadere dei termini loro concessi per esercitare in Patria il diritto di voto. Qualcuno ormai doveva prendere una decisione del genere, in quanto altrimenti si sarebbe di fatto riconosciuta la competenza indiana sul caso, creando un devastante precedente sotto il profilo della giurisdizione, più in generale sotto il profilo della sovranità nazionale.
Meglio pertanto una decisione politica, che l’ennesima abdicazione verso un sempre più invasivo potere giudiziario, peraltro invocato come supplente di fronte alla latitanza sino ad allora mostrata dall’Esecutivo. Per molti versi è stata una scelta ineludibile in quanto la magistratura non avrebbe potuto consentire la nuova estradizione, omettendo di formulare una ordinanza di divieto di espatrio, perché, come già argomentato da queste pagine in occasione del precedente permesso speciale per le ferie di fine anno, la Costituzione Italiana, recependo direttive sovranazionali in tema di diritti umani, vieta l’estradizione di chicchessia verso Paesi, nel contingente l’India, dove per i reati ascritti sia prevista la pena di morte, divieto cogente ed ineludibile anche nel caso di impegno a non applicarla per il particolare caso. L’accordo intergovernativo che prevedeva il ritorno in India dei due militari in quanto in conflitto con il dettato costituzionale non poteva che essere assolutamente ed incontrovertibilmente nullo perché affetto da vizio a monte.
Se non vi fosse stata la decisione politica di denunciare l’accordo e comunicare all’India la decisione sovrana dell’Italia, la magistratura, peraltro attivata dall’esposto Tomasicchio/Termentini non avrebbe potuto avallare una nuova estradizione, assoggettandosi al sino ad allora orientamento dell’Esecutivo verso il “basso profilo” senza arrecare un insanabile vulnus ad un altro principio fondamentale della Costituzione che sancisce la sua indipendenza ed autonomia, con l’aggravante che avrebbe vilipeso un principio cardine ispirato ai diritti umani, richiamato ed applicato in precedenza ad esempio con il caso Ocalan. Certo si tratta solo e soltanto di un primo successo del Gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri” che ha emesso a caldo un comunicato stampa in cui dichiara di avere intenzione di continuare a prodigarsi sino al completo proscioglimento dei loro commilitoni, ritenuti estranei agli eventi in cui hanno trovato la morte due indiani imbarcati su un natante impegnato in presunte attività di pesca. A tal punto diviene centrale i’analisi tecnica di Luigi Di Stefano, che in un eventuale processo in Italia verrebbe a svolgere il ruolo di perito. Più probabilmente non vi sarà alcun processo perché l’India, rivendicando la sua giurisdizione, non ha neppure risposto alla richiesta di rogatoria internazionale della Procura di Roma. Realisticamente non verrà mai inviato nessun fascicolo. L’impianto accusatorio è stato smantellato e ridicolizzato dall’analisi tecnica di Luigi Di Stefano, che ora diviene l’arma strategica risolutiva per chiudere definitivamente il caso.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:05