Tritolo della Seconda Guerra Mondiale per la strage di Capaci? La tesi dei magistrati della Procura di Firenze è tutt’altro che peregrina. Lo confermano a L’Opinione fonti dell’Esercito Italiano. Recuperare l’esplosivo da residuati bellici non solo è possibile, oltre che relativamente semplice (se si sa come fare), ma il passare degli anni non influisce sulle proprietà piriche, se non in maniera molto lieve.
«Il contenuto di un residuato bellico non si deteriora con il tempo» spiega un esperto dell’esercito. «Il trinitrotoluene (tritolo, ndr) può ossidare, ma si limita a cambiare colore». E, soprattutto, il potenziale esplosivo non muta in maniera sensibile, nemmeno a distanza di 50 o 60 anni. Lo stesso avviene con l’amatolo, miscela esplosiva composta da tritolo e nitrato d’ammonio, anch’essa largamente impiegata nella fabbricazione di ordigni militari.
C’è da considerare poi che, con alcuni semplici accorgimenti, maneggiare un residuato bellico inesploso per prelevarne il contenuto può rivelarsi piuttosto facile. A differenza di altri composti chimici, infatti, il tritolo è piuttosto stabile, e necessita di una determinata pressione nonché di una carica di innesco per esplodere. Molto più imprevedibili sono invece i moderni Ied (Improvised explosive device), i cosiddetto ordigni improvvisati oggi tanto cari a guerriglieri ed estremisti islamici: alla facilità di realizzazione, infatti, si contrappone in questo caso l’estrema instabilità del composto esplodente, che ne fa un pericolo mortale persino per chi li assembla. Per i responsabili degli attentati dinamitardi di stampo mafioso, sicuramente avvezzi a questo genere di procedimento, “riconvertire” quelle vecche bombe d’aereo angloamericane in nuovi ordigni pronti a seminare morte dev’essere stato poco più che una formalità.
Ma non è solo la relativa sicurezza del tritolo a rappresentare un vantaggio. C’è anche l’assoluto “anonimato” del prodotto: a differenza dell’esplosivo di produzione recente, infatti, rintracciabile risalendo al lotto o alla matricola di appartenenza anche attraverso successive analisi chimiche, quello recupeato da un vecchio residuato non potrà mai fornire agli investigatori appigli per risalire alla sua origine, se non appunto una datazione approssimativa.
Ma c’è dell’altro: sapendo dove andare cercarli, i residuati bellici sono una fonte di esplosivo a costo zero pressoché illimitata. «Durante un bombardamento o un cannoneggiamento, è fisiologico che una percentuale compresa tra il 5% e l’8% degli ordigni non esploda» spiega ancora l’esperto. Accade per difetti di fabbricazione, per la natura del terreno dove la bomba cade, e per svariati altri fattori. Ci sono poi i depositi di munizioni interrati dagli eserciti in fuga, perché non cadano in mano al nemico ma restino a disposizione in caso di una successiva riconquista del terreno perduto. E se si considera che lo Stivale tra il ‘43 e il ‘45 è stato un gigantesco campo di battaglia, non è difficile farsi un’idea di quanti possano essere gli ordigni inesplosi ancora a disposizione. Se non bastasse, ci pensano i numeri dei residuati di varia tipologia, provenienza e dimensione recuperati e fatti brillare dall’esercito nell’ultimo decennio: dal 1° gennaio del 2000 ad oggi sono stati 52.813. Una media di circa un migliaio l’anno, con picchi “eccellenti” come i 10.312 del 2003.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:50