Se non riusciamo a guardare tra le pieghe dello scandalo Lazio, oltre lo squallore delle scene che ci propinano per colpire il nostro immaginario e suscitare il nostro sdegno, continuerà a sfuggirci il vero bandolo della matassa, e dovremo assistere a nuove scene di questo tipo. Se è furba, la Polverini dovrebbe dimettersi, per cercare di passare da vittima e non complice del “sistema”. Una furbata che gli permetterebbe di gettare fumo negli occhi di tanti cittadini, ma non di tutti: con una sanità in dissesto e le addizionali Irpef più alte d’Italia, è una colpa imperdonabile anche solo non essersi accorta, in due anni e mezzo, di quel che accadeva.
Lo sperpero del gruppo Pdl in Regione Lazio, così sensazionale e pacchiano, vero e proprio schiaffo non solo alla miseria ma anche alla classe media che suda per portare i soldi a casa, non deve però far dimenticare che sperperi di egual misura, sebbene meno appariscenti, avvengono con poche eccezioni in tutte le regioni: stipendi stellari, governatori che guadagnano il doppio del presidente Obama, vitalizi generosi, fondi ai gruppi. E poco importa, ai fini della contabilità generale, se questi soldi vengono scialacquati in ostriche e champagne, oppure in consulenze, corsi, e in noiosi convegni su improbabili argomenti, il cui scopo è comunque saziare le proprie clientele locali: l’hotel da cui si affitta la sala, l’azienda che fornisce il catering, quella che manda le hostess, gli autorevoli oratori. Inorridiamo pure, ma ricordiamocene al prossimo piagnisteo dei presidenti di regione per i tagli ai trasferimenti. Se ancora non hanno abolito vitalizi e spese varie, vuol dire che grasso da tagliare ancora ce n’è. Si può obiettare che preferiscono sacrificare i servizi piuttosto che i loro privilegi, ma se qualcosa si muove anche da quel punto di vista, e se quanto meno nessuno è più disposto a chiudere un occhio, è perché abbiamo appena cominciato ad affamare la bestia. Bisogna continuare. Nel tritacarne mediatico è finito anche De Romanis per il suo «toga-party alla vaccinara». Una festa trash, ma tutto sommato innocente (non un “festino”, termine che indica ben altre e più ristrette situazioni), e fino a prova contraria pagata coi suoi soldi, non con i fondi del gruppo Pdl, come si insinua tra le righe. Ma rappresenta comunque lo specchio del sistema: si celebra un’elezione in consiglio regionale come una mega-vincita al superenalotto, eppure non dovrebbe permettere a nessuno di sentirsi “sistemato” per la vita.
Può darsi, come sostiene Serra su Repubblica, che «Fiorito siamo noi», che sia un «normotipo popolare italiano». Ogni popolo ha i rappresentanti che si merita, c’è del vero. Dunque, Fiorito «prodotto della democrazia»? Forse sì, se ci riferiamo a quel particolare e sghembo tipo di democrazia rappresentativa (la «democrazia diretta» non c’entra davvero nulla) che abbiamo in Italia. A ben vedere però Fiorito è il prodotto non della democrazia, ma delle preferenze, che non garantiscono ai cittadini alcun potere di scelta, bensì ai candidati con le clientele più numerose di essere eletti, così come i listini servono a promuovere portaborse e funzionari di partito che nessuno conosce. Fiorito è uguale a quelli che hanno espresso la preferenza per lui, cioè ai suoi “clientes”, una estrema minoranza degli elettori.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:04