«La fine del tunnel sta cominciando a illuminarsi». Queste le parole del premier Mario Monti ieri mattina a Radio Anch’io. Speriamo solo che quella luce in fondo al tunnel non sia di un treno che ci viene addosso. Rinfrancato dall’intervento volitivo di Mario Draghi, le cui parole («la Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro e, credetemi, sarà abbastanza») hanno rassicurato i mercati e allentato le tensioni sui nostri titoli di Stato, il premier è tornato a diffondere ottimismo. E ci risiamo. Anche nel marzo scorso, infatti, Monti aveva parlato con troppa disinvoltura di crisi «quasi finita» e del peggio ormai alle nostre spalle. Allora furono le due operazioni di prestiti della Bce alle banche a far calare indirettamente lo spread, ma si trattò di un’aspirina, tanto che la “febbre” tornò ben presto a salire fino al picco dei 540 punti dei giorni scorsi.
Oggi come allora gli acquisti di bond da parte della Bce, o dei fondi salva-stati Efsf/Esm, servirebbero solo a guadagnare tempo, ma non a risolvere la crisi. Se infatti le risorse della Bce sono potenzialmente illimitate, e per questo in grado di frenare gli istinti degli speculatori, non lo sono affatto dal punto di vista politico. Il loro utilizzo può essere solo temporaneo, a sostegno dei debiti sovrani in difficoltà a causa di attacchi speculativi molto concentrati, come nel mese di agosto, e ingiustificati. I paesi del Nord Europa, Germania in testa, non permetterebbero un loro uso prolungato, che denoterebbe un cambio di natura e di scopo dell’intervento, a tutti gli effetti un salvataggio. Lo stesso Draghi ha chiarito che calmierare gli spread «rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria». Mentre anche Monti e Hollande siglano un patto per l’integrità della zona euro e chiedono che siano subito attuate le decisioni dell’ultimo vertice Ue, il problema è che appena cala lo spread, anche di poco, ci rilassiamo e si allenta la determinazione nell’attuare le riforme necessarie.
E’ capitato persino a Monti, proprio nel marzo scorso, quando in un periodo di relativo “rientro” dello spread ha ceduto ai sindacati e al Pd sulla riforma del mercato del lavoro. Cedimento ben presto sanzionato dagli investitori e dai media di riferimento del business internazionale. Dunque, se da una parte, come hanno ripetuto Monti e Hollande dopo il loro incontro di ieri, è vero che «diversi paesi dell’Eurozona devono oggi rifinanziarsi a tassi di interesse troppo elevati, malgrado stiano portando avanti le difficili ma necessarie riforme economiche», e quindi meritano in un certo senso la fiducia degli altri partner Ue e il sostegno della Bce, è anche vero tuttavia che proprio quel sostegno rischia di provocare un rilassamento dei governi e delle classi politiche. Un film già visto che non fa che confermare i pregiudizi tedeschi: solo sotto la costante minaccia di spread elevati si può sperare che i paesi eurodeboli, Italia in testa, imbocchino la via del risanamento e delle riforme strutturali. A complicare la situazione ci sono i partiti, impegnati nei loro esasperati tatticismi sulla legge elettorale.
Se il presidente Napolitano ha praticamente azzerato le speranze di quanti nel Pd accarezzavano l’idea del voto anticipato con il “porcellum”, magari incolpando il Pdl della rottura, il premier si è associato al Capo dello stato nell’esortare i partiti a trovare un accordo sulla riforma elettorale e a «evitare la rissa permanente». «Lo scenario peggiore» sarebbe arrivare al voto senza. Se poi, oltre alla legge elettorale, i partiti esplicitassero «in che senso vogliono attenersi a una continuazione di una linea europea, di disciplina e di riforme strutturali, o invece divaricare rispetto a questa linea, tutti questi sarebbero elementi utili per i mercati e per i cittadini italiani». Insomma, potremmo essere alla vigilia di una tregua della crisi, ma i “compiti a casa” dovremo continuare a farli e spargere ottimismo non aiuta a tenere alta la concentrazione né del governo né dei partiti.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05