Se fosse una disciplina olimpica potremmo festeggiare la prima medaglia d’oro. Invece il record mondiale di pressione fiscale, registrato in Italia, non è qualcosa di cui andare fieri. I dati più o meno sono quelli che si conoscono già. Quelli diffusi ieri da Confcommercio sono solo gli ultimi in ordine di tempo e confermano una situazione ormai insopportabile. Nel 2012 la pressione fiscale effettiva o legale in Italia, cioè quella che mediamente grava su ogni euro prodotto legalmente e totalmente dichiarato, è pari al 55% del Pil. Non solo la più elevata di sempre della nostra storia economica, ma un record mondiale assoluto. «In qualche caso anche di più del 55%.
Qualche imprenditore – ha ammesso il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera – mi ha parlato del 70%». Tra i primi posti anche per la pressione fiscale “apparente”, pari nel 2012 al 45,2% del Pil, la quinta dopo Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (45,8%). L’Italia è prima anche nel tasso di crescita della pressione fiscale, dal 2000 al 2012 cresciuta del 3,4%, mentre se si escludono Portogallo, Francia e Giappone, in tutti gli altri paesi avanzati si tende ad una progressiva riduzione. Record mondiale anche per la quota di economia sommersa, pari al 17,5% del Pil, per un’imposta evasa di circa 154 miliardi di euro, sempre secondo le stime di Confcommercio.
Dunque, a causa dell’evasione i cittadini onesti sopportano complessivamente un carico fiscale di 10 punti superiore a quello nominale. Ma cosa accadrebbe se tutti improvvisamente pagassero il dovuto? Difficile dirlo. Soggettivamente nessun vantaggio, ciascuno di noi continuerebbe a pagare le stesse tasse, a meno che il governo, per effetto del nuovo gettito, non decida di ridurre le imposte. La pressione fiscale effettiva, invece, tenderebbe a coincidere con quella nominale. Tuttavia, è ragionevole supporre che una parte cospicua delle attività economiche che oggi stanno in piedi solo perché “in nero” fallirebbero, trascinandosi dietro pezzi di economia legale. Al netto dei delinquenti veri e propri, l’evasione è quindi una sorta di sussidio occulto che viene trattenuto laddove i costi fiscali metterebbero fuori mercato le attività economiche.
Secondo Befera, invece, a spingere ad evadere è soprattutto un «deficit culturale» tutto italiano, da contrastare incutendo nel contribuente un «sano timore». «L’effetto deterrenza comincia a funzionare», sottolinea Befera, che promette entro il 30 settembre una mappatura degli adempimenti fiscali per discutere con le categorie il loro snellimento e si dice favorevole al fondo taglia-tasse da finanziare con i proventi della lotta all’evasione, ma sempre con priorità ai conti pubblici. In direzione opposta si muove il rapporto Giavazzi sui contributi alle imprese che sarebbe all’esame di Palazzo Chigi: con un taglio di 10 miliardi annui di sussidi infruttuosi si potrebbe finanziare una equivalente riduzione del cuneo fiscale, in grado di produrre, nell’arco di due anni, un aumento del Pil dell’1,5%.
«È solo utilizzando una riduzione della spesa per finanziare una corrispondente diminuzione della pressione fiscale che si favorisce davvero la crescita», scrive Giavazzi, aggiungendo che «non si deve quindi cedere alla tentazione di riallocare la spesa tagliando spese meno efficienti per finanziarne altre apparentemente più efficienti». Bisogna fare in fretta, però, perché in Italia è in corso un “esperimento” unico e potenzialmente mortale: la pressione fiscale ha raggiunto livelli mai esplorati prima, un “territorio” del tutto ignoto alla scienza economica.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:56