I passi falsi di Monti sono iniziati con le timide liberalizzazioni fino alla resa a sindacati e Pd sull’articolo 18. Un vero e proprio punto di svolta, da cui mercati e osservatori esteri, che hanno cominciato a dubitare dell’efficacia del suo sforzo riformista. Ma se fino ad oggi i passi falsi avevano riguardato le riforme interne, è preoccupante che adesso se ne vedano anche in Europa.
Il premier raccoglie in questi giorni il frutto avvelenato dell’errore clamoroso commesso sulla riforma del lavoro: la scelta di procedere con il ddl anziché per decreto. In realtà, l’iter è stato piuttosto veloce rispetto ai tempi del nostro Parlamento, ma con l’intensificarsi della tensione sui bond di Italia e Spagna, e la caduta verticale di credibilità del governo agli occhi degli investitori e dei media, l’appprovazione della riforma è improvvisamente diventata urgente, per dimostrare a Bruxelles e agli osservatori internazionali che non c’è lo «stallo» di cui si parla. Solo che il governo rischia di pagare a caro prezzo il via libera dei partiti entro il 27 giugno. In termini di ulteriori concessioni sulla riforma, già ritenuta «annacquata», ma soprattutto sul tema “esodati”.
Allargare la platea dei “salvaguardati” dalla riforma delle pensioni potrebbe costarci carissimo, tanto da vanificarne parte dei positivi effetti finanziari, costati sacrifici ai milioni di lavoratori che la nuova età di pensionamento dovranno rispettarla. Anche a Bruxelles, avverte il Financial Times, «si sta assottigliando la pazienza nei confronti dell’Italia». Il nostro premier «ha sviluppato una sorta di mitologia attorno a lui, ma l’agenda di riforme è in stallo». Fa discutere la proposta avanzata da Monti al G20: utilizzare i fondi salvastati per acquistare sul mercato secondario bond i cui tassi di interesse siano insostenibili, nonostante emessi da Paesi “virtuosi”, cioè Italia e Spagna. Un «paracetamolo finanziario», l’ha bollata la Commissione Ue. Un’opzione, ha ricordato la cancelliera Merkel, «teoricamente» possibile, anche se «alle condizioni previste» per l’uso dell’Efsf. La possibilità in effetti esiste dall’ottobre 2011, ma solo se i governi i cui bond devono essere acquistati accettano di concordare un programma vincolante. Ma la peculiarità della proposta Monti è che non si tratterebbe di «salvataggi», aiuti condizionati ad un programma, come per la Grecia. «È un tentativo dell’Italia – denuncia il Ft-Deutschland – di ottenere soldi senza condizioni, senza gli oneri connessi».
Il messaggio sottinteso di Monti è chiaro: i compiti a casa li abbiamo fatti, più di così non possiamo. E se il costo del debito resta alto è perché i mercati non capiscono, o speculano. Il che significa, come osserva Zingales sul Sole24ore, che Monti si è «convertito alla visione dei mercati della maggior parte dei politici nostrani, per cui i prezzi non sono importanti segnali, ma il prodotto della mancanza di lungimiranza dei perfidi speculatori». Ma la riduzione artificiale del costo del debito favorirebbe almeno il processo di risanamento e di riforme, oppure allentando la pressione politica lo rallenterebbe? Secondo Zingales è un’idea sbagliata, perché «si basa sul presupposto che il costo del nostro debito non abbia alcuna base reale, ma sia solo il frutto della speculazione», e perché agire sul mercato secondario «non riduce direttamente il costo del nostro debito, ma solo indirettamente». Verrebbe interpretato come «un segnale a vendere» e l’unico risultato sarebbe quello di «permettere ai creditori esteri di ridurre la loro esposizione». Meglio usare l’Efsf per «prestiti diretti», ma per questi occorrerebbe sottostare a delle condizioni. Insomma, Monti comincia a dubitare che l’Italia possa farcela da sola, ma è proprio vero che abbiamo fatto i “compiti a casa”?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:11