Si moltiplicano le proteste contro le sedi di Equitalia, sempre più spesso, purtroppo, in forma violenta. Solo negli ultimi giorni si contano un sequestro di persona a Bergamo, un assedio a Napoli, un'aggressione a Milano, un allarme bomba a Roma, minacce a Viterbo e molotov a Livorno. Un clima davvero cupo. Il ministro degli interni Cancellieri è arrivato a ipotizzare l'uso dell'esercito per proteggere le sedi. Il presidente del Consiglio Mario Monti incontrerà giovedì il presidente della società, Attilio Befera (anche direttore dell'Agenzia delle entrate). La condanna degli atti di violenza e la solidarietà alle vittime sono unanimi da parte delle istituzioni e dei partiti, ma la copertura politica sembra essere improvvisamente venuta meno. Mai come in questi giorni però Befera si è ritrovato quasi senza, dopo averne goduto in dosi persino eccessive fino a poche settimane fa. Tutti condannano le violenze, ma tutti (o quasi) riconoscono il disagio e che qualcosa deve cambiare. Nel breve volgere di qualche settimana il dibattito si è spostato dalla spietata caccia all'evasore ai metodi illiberali di Equitalia.La società si difende: «Irresponsabile scaricare su di noi la colpa di gesti estremi e situazioni drammatiche». E avverte che «il sensazionalismo alimenta la violenza», invitando quindi a «non spettacolarizzare» questi eventi tragici. Purtroppo sono i suicidi stessi, più che i media, a "scaricare" le colpe sul fisco. La violenza è in ogni caso ingiustificabile, anche perché nel nostro Paese dissenso ed esasperazione si possono esprimere ancora liberamente, civilmente e politicamente. È anzi un dovere farlo in termini politici e nonviolenti. Equitalia non è nemmeno la causa principale dei mali fiscali che ci affliggono, che è politica, e come tale va combattuta politicamente. Una pressione fiscale ormai insopportabile, una normativa per la riscossione vessatoria e una lotta all'evasione condotta con metodi illiberali. Ma si tratta di aberrazioni la cui responsabilità principale risiede nella insaziabile voracità dello stato, quindi nei governi e nel legislatore. La linea di difesa di Equitalia però non convince del tutto: è vero che i funzionari del fisco sono chiamati a far rispettare le leggi, e che prendersela con loro significa mancare il bersaglio vero, che è lo Stato, ma nemmeno possono lavarsene le mani del tutto, uscirne come meri esecutori di ordini superiori. Sorvoliamo sulla tragedia che richiamano alla mente giustificazioni simili, perché ogni paragone sarebbe obiettivamente improprio e offensivo.
Ma il direttore Befera ed Equitalia hanno almeno tre responsabilità.
1) È stato proprio Befera a "spettacolarizzare" la lotta all'evasione fiscale, a cercare per se stesso e per la sua agenzia una sovraesposizione mediatica, pensando - in autorevole compagnia, per la verità - che la fase storica, cioè la crisi delle finanze pubbliche, fosse particolarmente propizia per cambiare la cultura, la mentalità dei cittadini italiani, i quali avrebbero elevato gli esattori al rango di eroi civici. E allora Agenzia delle entrate ed Equitalia avrebbero goduto della popolarità dell'Fbi di J. Edgar Hoover. Non è andata così (almeno per ora) e nonostante tutta la propaganda governativa e mediatica degli ultimi tempi, gli italiani, a cui gli evasori non sono certo simpatici, si riconoscono nella figura del "tartassato", avvertono come nemico acerrimo il fisco più che l'evasore.
2) Risulta difficile credere che Befera e i vertici delle agenzie di cui è alla guida non c'entrino nulla con l'architettura repressiva, sul piano giuridico e organizzativo, che si è andata costruendo negli ultimi anni, in collaborazione con ministri dell'economia e delle finanze di qualsiasi colore politico. È noto, anzi, che diversi strumenti normativi sono stati, e vengono tuttora, specificamente richiesti da Befera, la cui opinione di "tecnico" - proprio in ragione dei suoi indiscutibili successi nel recupero dell'evasione - viene da anni tenuta in altissima considerazione dal legislatore.
3) L'esattore per conto di amministrazioni pubbliche non può non curarsi della legittimità o meno delle somme che richiede, come farebbe qualsiasi picciotto mandato a riscuotere il pizzo. In troppi casi di richieste illegittime (esemplari, le famigerate "cartelle pazze" e gli interessi nelle cartelle esattoriali originate da multe e sanzioni amministrative non pagate, dichiarati dalla Cassazione «maggiorazioni non dovute»), Equitalia fa spallucce. È stato più volte lo stesso Befera a trincerarsi dietro al fatto che a determinare l'entità della somma sono gli enti - centrali o locali - per i quali Equitalia effettua la riscossione. Ebbene, questa pretesa irresponsabilità, che complica enormemente la risoluzione anche dei più banali errori, perché Equitalia rimanda all'ente creditore la contestazione, è odiosa agli occhi dei contribuenti. E giuridicamente infondata, tanto che Equitalia può essere riconosciuta colpevole, al pari dell'ente per il quale agisce, della «responsabilità aggravata» ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., la cosiddetta "lite temeraria".
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19