Rinnegherà il fiscal compact, portandosi subito in rotta di collisione con Berlino, o si accontenterà, almeno per il momento, di affiancargli un "growth pact", un piano per la crescita? Da questa decisione dipenderà il primo impatto del nuovo presidente francese Hollande sulla politica europea. La cancelliera tedesca Merkel ha fatto sapere di essere pronta ad accoglierlo «a braccia aperte», ma sul fiscal compact, le regole per la disciplina di bilancio, ha già eretto le barricate: il patto «non è rinegoziabile». «Non si può cambiare linea a ogni elezione, e se si rivedesse anche la Grecia vorrebbe un nuovo accordo», mentre è della «massima importanza» che Atene mantenga fede ai suoi impegni.
A difesa del fiscal compact la cancelliera ha al suo fianco il premier italiano Mario Monti, lungi dallo schierarsi con Hollande. L'Italia di Monti non ha alcuna intenzione di rimetterlo in discussione, chiede invece che al rigore venga affiancato un patto per la crescita, su cui ormai la Germania ha accettato di dover concedere qualcosa. Il premier italiano rivendica di aver imposto per primo il tema nell'agenda europea con la lettera di febbraio, firmata da 11 capi di governo Ue ma non da "Merkozy". Con la vittoria di Hollande in Francia Monti è consapevole che il ruolo italiano «di impulso» per la crescita «troverà ora uno spazio maggiore». Non s'illudano, però, quanti in Italia, nel Pd come nel Pdl, si aspettano che ciò induca Monti ad allearsi con il neo presidente socialista per convertire di 180° la politica tedesca. In realtà, se Hollande insisterà con le posizioni sostenute in campagna elettorale - revisione del fiscal compact, modifica del mandato della Bce ed Eurobond - troverà l'opposizione non solo della Merkel ma anche di Monti. Di crescita, invece, si può discutere. Le idee su come rilanciarla divergono, ma un compromesso è possibile. Tra Hollande, convinto che occorra far ricorso a più spesa pubblica, e la linea tedesca, ribadita anche ieri dal ministro dell'Economia e condivisa da Draghi, secondo cui servono riforme (riforma del lavoro e meno burocrazia), e non pacchetti di stimolo finanziati in debito, l'Italia si colloca in una posizione intermedia. Riguardo le riforme, Monti spinge per il rafforzamento del mercato unico, sulle liberalizzazioni chiede all'Ue di adottare lo stesso rigore con cui vigila sul bilancio - un pugno nello stomaco per la protezionista Francia - mentre l'unica concessione alle politiche keynesiane sono i "project bond", non forme di condivisione del debito ma buoni per finanziare grandi progetti infrastrutturali.
Su tutto però incombe l'enorme spada di Damocle di Atene, dove dalle urne è uscita una situazione di totale ingovernabilità. I partiti garanti del piano di salvataggio targato Ue-Bce-Fmi, Nea Demokratia e Pasok, hanno visto dimezzarsi i loro consensi. I partiti anti-Euro, tre di estrema sinistra e due di estrema destra (tra cui i neonazisti di "Alba dorata") hanno conquistato 151 seggi su 300. Il presidente greco affiderà al leader del partito di maggioranza relativa, Nea Demokratia, il mandato di formare un governo. Se fallirà, tenterà con il secondo e poi con il terzo partito. In caso di stallo, probabili nuove elezioni a giugno. L'elettorato sia in Francia che in Grecia ha punito l'austerità, ma il ritorno alla spesa è una strada percorribile o una pericolosa illusione?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:13