Sociologicamente: comunicazione ed espressione

Con l’autunno tornano gli incontri culturali e svolgo corsi, tanto per non dimenticare il mio passato. Tra filosofia, storia, letteratura, sociologia, da anni continuo, piccoli gruppi, affezionatissimi, persone che mi sono studenti da trenta, persino quarant’anni. Quando il rapporto culturale è anche relazione umana, ecco la vera scuola, al modo antico. E ne vengono risultati. Una signora ha ricopiato le registrazioni del mio commento a tutta la Divina Commedia. Al dunque: un viaggio straordinario anche quest’anno, anche se in fondo il più ordinario che si possa fare, un viaggio dentro l’uomo, un viaggio nel sentire, dunque nell’esprimere, non soltanto comunicare, esprimere, che è tutt’altro. Noi stiamo nell’epoca della comunicazione, la potenza comunicativa rende oscura l’espressione, anzi: la trascura. Immaginazione, invenzione linguistica, cadenza, ritmi, manifestati con la parola, o linea, colore, figura, o strutture architettoniche, o suoni, vari e connessi, dissonanti o convergenti, tutto questo dichiara appunto la forma espressiva, la vita posta nella forma, l’espressione, appunto. La vita diventa espressione di sé al di là dell’incarnazione nella vita come semplice vivere. La comunicazione inespressiva prepara il robot, l’Intelligenza artificiale, manifestare senza esprimere, nessuna interiorità, nessuna irruenza emozionale, il prolungamento piatto di una nota monotona monocorde.

L’uomo presso che da sempre ha bisogna di fuoruscire oltre sé quel che ha dentro di sé. Oggi, invece, pone sé fuori di sé privando sé, sostituendo sé. Non mette fuori di sé, sé; elimina sé e pone fuori di sé una entità neutra, amorfa, priva di cosciente sentire, senza io, spoglio di coscienza esistenziale vita-morte. Il robot caricato di Intelligenza artificiale non è un “io”, non un individuo, è seriale, replicabile, astratto, al di qua della vita e della morte, e della tragedia dell’io destinato alla fine. Quindi inespressivo, in senziente, può esprimere meccanicamente non sensibilmente dalla vita. Il robot intelligente può combinare magnifici versi ma non sente i versi, non si emoziona, li combina meccanicamente, a freddo, resta nella comunicazione quando pure esprime. Capolavori meccanici. Fuori di sé non come espressione personale cosciente e senziente, insisto: non vi è interiorità nel robot intelligente. Stiamo costruendo entità che sostituiscono l’umanità interiore dell’uomo quale “io” esistenziale.

Noi, invece, tratteremo dell’uomo che esprime se stesso, fa piangere e ridere, accresce, inonda di vita la vita: espressione. Tutte le civiltà sono state in fondo estetiche, civiltà del sentire espressivo. Muore ogni particella, l’arte rimane. Filosofia, scienza, una catasta al naufragio, l’arte in piedi. Millenni, millenni, polvere, cimiteri, l’arte viva, vibrante. L’arte contiene ed esprime il sentire, ed il sentire si fa risentire, si fa sentire eternamente, appunto: sentire, emozione, passione consegnati in una forma che li manifesta e sprigiona. Periscono stelle e galassie ma l’arte continua a vivere. L’arte contiene e trasmette sentire, anche il pensiero nell’arte si rende sentire, nella veste, la forma opportuna a contenere e ridare sentire. Trovo la forma per esprimere il dolore, e faccio sentire il dolore, trovo la forma per far sentire l’astuzia e la faccio percepire, la vita rappresentata nella forma conveniente a quanto si intende esprimere, e così ridò gioia e inganno, felicità, paura, mistero, la vita nella forma, opportuna a quanto intendo esprimere inonda il lettore, lo spettatore e l’uomo vive mille vite, le vite che l’arte apparecchia per la vista, l’udito, la coscienza senziente. Non è la bellezza che salverà il mondo, la bellezza è un aspetto dell’arte, a meno che per bellezza si intenda l’espressività riuscita, meglio dire: è l’espressione, l’espressività che salverà l’umanità dell’uomo. Umanità, non bontà. Umanità di quanto è umano, ferocia e commozione, se espresse sono arte, vita che torna all’uomo come espressione di sé, arricchimento. La bellezza è un ambito dell’espressione, in quanto espressione riuscita vi è bellezza non della bellezza anche dell’orrendo. Espressione.

La Grecia. La Grecia vituperava la bruttezza, la considerava manifestazione della malvagità, bassezza, il bello si univa al vero ed al bene, per i greci. Tutto ciò che viene dalla Grecia è bellezza, la bellezza “classica”, al di là del dolore, sentendolo, ma perfino il dolore era reso con il bello. La bellezza per coprire la morte, vivevano, i greci, nell’incubo della morte ma la bellezza (l’arte) era somma distrazione dalla morte, entusiasma, la bellezza, dimentichi la morte perché nella vita esiste la bellezza, vale vivere. Musica, statue, dipinti, architetture, entusiasmano, ammiriamo, bella la vita se vi è la bellezza! Scopo della vita è la felicità, l’arte dà felicità, ma la felicità non è indifferenza alla tragedia, tutt’altro, è dominio sulla tragedia. I greci furono il popolo più tragico mai esistito (gli ebrei avevano il loro Dio come i cristiani, parlo dell’Occidente), avevano contro il Fato e persino gli Dei, sovente, ma volevano vivere massimamente quanto maggiore subivano inimicizia e avversità. Questa è la felicità dell’uomo tragico. Più tragedia, più volontà di vivere. Non tutti nella stessa opinione, certamente, i greci. Ne diremo.

I romani anche loro immedesimati nella vita e nell’espressione, non una civiltà estetica come per i greci, ma in ogni caso di loro resta soprattutto l’arte, come del resto per il Cattolicesimo, quest’ultimo con un mutamento radicale per un certo periodo: non è la salute, la forza, la potenza, la bella bellezza a espandere la presenza cristiano cattolica nell’arte specie pittorica e nelle scritture, piuttosto la derelizione, il sacrificio del corpo, la mente nell’aldilà. Poi, con il Rinascimento, torna la salute greca. Non soltanto da noi ma nell’intera Europa il cammino è quel che accenno. Disgraziatamente, la modernità, e il sopravvento della comunicazione di massa, sta alterando quanto era presente nei millenni, la celebrazione di un popolo mediante l’individuo che vale. Non è il valore dell’individuo che suscita apprezzamento ma la propagazione della presenza nei mezzi di diffusione. Inoltre, ancora un più grave, l’irrilevanza della espressione rispetto alla comunicazione. Infine: la perdita dell’interiorità creativa sostituita dalla fattività automatizzata della robotica intelligente non umana e senza l’io. Scene di un futuro contro il quale è necessario insorgere, riumanizzando l’interiorità sensibile, espressiva dell’io umano. Estetica. Arte. Al di sopra della comunicazione meccanizzata. In due centri culturali, via Filippo Meda, 147, Roma, ogni martedì ore 17.15; ogni lunedì, dal 16 ottobre, in Largo Beltramelli, Centro culturale, Roma, ore 17.30, parlerò di tali argomenti. Verranno anche messi in video. Riferirò a tempo.

Aggiornato il 05 ottobre 2023 alle ore 16:34