L’innovazione tecnologica, la bussola del cambiamento

Luci e ombre nell’articolata transizione energetica dell’Italia verso la decarbonizzazione

Si è tenuto lo scorso 6 luglio a Roma, presso la Coffee House di Palazzo Colonna, la presentazione del consueto rapporto annuale sull’energia del think tank I-Com, concernente “l’innovazione energetica”.

Com’è noto, l’Italia si trova di fronte a sfide di rinnovamento energetico estremamente impegnative. Conseguenza, questa, delle politiche volute a più riprese dall’Unione europea: nel tentativo di raggiungere al 2050 la completa decarbonizzazione dell’intero Continente, si è stabilito come tappa intermedia (2030) attraverso il “Fit for 55” la riduzione del 55 per cento delle emissioni di Co2 tramite il potenziamento delle fonti rinnovabili, dell’efficientamento energetico e della diffusione delle auto elettriche.

Su tale base, già di per sé molto gravosa per l’Italia, perché le viene assegnato un livello di produzione elettrica da fonti rinnovabili (Fer) pari a 70 gw (gigawatt) di installato, si è aggiunto lo scorso anno il RepowerEu, provvedimento europeo adottato per far fronte alla penuria di gas causata dalla guerra russo-ucraina. Si è così elevata l’asticella della produzione da Fer alla stratosferica soglia di 85 Gw. Tanto per dare una misura della pervasività di una simile grandezza, il consumo di picco orario nel mercato all’ingrosso per il nostro Paese non si ricorda abbia sforato i 60-65 Gw all’ora. E se anche avesse occasionalmente oltrepassato tale valore non riteniamo sia ripetibile, visto che nell’ ultimo ventennio si sono persi pezzi importanti di produzione industriale e si è andato ottimizzando, attraverso l’efficientamento energetico, il consumo dell’utenza residenziale. Ad esempio, in questo mese la punta oraria si aggira sui 40 Gw all’ora.

Di fronte alla cogenza, anche normativa, degli obiettivi europei una delle poche possibili risposte è quella dell’innovazione tecnologica capace allo stesso tempo di miglioramenti tecnologi e di riduzioni dei costi nelle applicazioni già esistenti. Nel settore energetico, sui brevetti il nostro Paese stenta a decollare e a tenere il passo con i giganti mondiali. Nel periodo 2015-2021, la Cina ha depositato 4123 brevetti, spodestando il Giappone. Seguono la Corea del Sud (3.458), gli Stati Uniti (2.866) e la Germania (2.208), unico Paese europeo che riesce ad avvicinarsi ai primi quattro dominanti. L’Italia ha depositato soltanto 94 brevetti, contro i 111 del 2015.

Va meglio il settore degli accumuli di energia per il comparto domestico, che ha preso sempre più piede in tutto il mondo per la concomitanza di più fattori favorevoli: calo dei costi, l’abbinamento al fotovoltaico residenziale e la presenza degli incentivi.  In Europa sono tre i principali Paesi attivi in tale mercato: la Germania, da sempre leader negli investimenti tecnologici energetici, grazie ad un’eccellente industria nazionale e ad un’elevata capacità di spesa della domanda retail; l’Italia, che ha potuto sfruttare la spinta del “Superbonus 110 per cento” realizzando un’eccezionale performance; e infine l’Austria, anch’essa molto attenta alla problematica della sicurezza energetica.

Elemento di rilievo è il prorogarsi anche nel primo semestre del 2023 dell’effetto espansivo. Supportano tale sforzo sia i fondi del Pnrr che la recente normativa nazionale, la quale ha approntato il finanziamento ventennale dei sistemi di accumulo di nuova installazione. Provvedimento indispensabile, forse un po’ debole, per le impegnative sfide che attendono il nostro Paese.

Con tutta probabilità siamo in un anno di passaggio che apre una fase critica, certamente delicata: da una parte siamo coinvolti, nostro malgrado, in una transizione energetica giuridicamente vincolante che ci ha imposto un ritmo serratissimo. Dall’altra, ci sono numerose problematiche da risolvere, affinché l’intero settore energetico possa evolvere secondo gli indirizzi europei. L’Italia, infatti, è un Paese ancora profondamente incentrato sul gas e che perciò soffrirà molto, sia in termini operativi che di costi puri, nella realizzazione di una trasformazione del proprio parco centrali così radicale.

Ad esempio, una grave questione riguarda le modalità e i costi dell’approvvigionamento della componentistica e delle materie critiche per realizzare gli impianti Fer. E si tratta di un problema comune a un po’ tutte le aziende europee. In modo piuttosto improvvido, l’Ue ha decretato la scelta delle rinnovabili, ma non ha approntato un sistema politico e commerciale per assicurare il rifornimento dei materiali necessari che sono tutti di provenienza estera, specificatamente la Cina. E dipenderà dalle loro condizioni politiche e commerciali la riuscita nella transizione energetica. A quali costi? Certamente non lievi per l’Italia, visto quelli precedentemente sostenuti in bolletta, per alimentare i vari “conti energia” a favore delle rinnovabili: 220-240 miliardi di euro in 20 anni!

Non da ultimo, vanno ricordate due difficoltà interne molto pregnanti: una contenuta capacità di spesa delle famiglie italiane e un’insufficienza quantitativa della forza lavoro specialistica. Nel primo caso, gli onerosissimi costi del debito pubblico impegnano così tanto la finanza pubblica da non poter più assicurare gli standard di qualità e quantità negli altri servizi essenziali (sanità, scuola, infrastrutture). La qual cosa comporta una spesa supplementare per le famiglie che, quindi, si ritrovano come meno fondi per realizzare impianti di rinnovabili di tipo residenziale. Nel secondo caso, non ci sono sufficienti installatori qualificati per realizzare tutti gli impianti, di qualunque tipologia e taglia, indispensabili per raggiungere nei prossimi 7 anni il traguardo del “Fit for 55” fissato al 2030: sono processi industriali profondi, che richiedono più tempo e in quel periodo si forma progressivamente la manodopera specializzata. È impensabile aspettarsi, bello e pronto, un esercito di installatori pronti all’impiego!

Evidentemente, non esiste una sola e semplice risposta di fronte a una complessità così articolata. Piuttosto, riteniamo che la via da intraprendere sia quella di un ventaglio diversificato di soluzioni. Quindi tecnologiche, come l’adozione di un nuovo tipo di batterie al posto di quelle al litio impiegate negli accumuli. E politiche, ossia la possibilità di acquisti comunitari per accaparrarsi le preziose risorse, nonché una più decisa normativa nazionale che, facendo maggiormente leva sui fondi comunitari già esistenti che di prossima disponibilità, possa ampliare l’ampiezza dell’utenza coinvolta nell’installazione dello storage domestico abbinato al fotovoltaico, principale tipologia di installazione sostenibile dalle nostre (magre) finanze e dalle varie reti di distribuzione locale.

Aggiornato il 10 luglio 2023 alle ore 10:45