Coltivare imitando la pioggia

Coltivazioni Idroponiche: il termine è sicuramente un po’ desueto e complicato ma ci capiterà sicuramente di sentirlo molto più spesso in futuro; si tratta di colture di piante in condizioni estreme e molto diverse da quelle che siamo abituati a conoscere, senza la disponibilità di terreno fertile e senza acqua dolce.

Sembrerebbe quasi impossibile, eppure, esiste già: ne è un esempio la Jellyfish Barge, la zattera galleggiante, ideata e realizzata in seno alla startup Pnat (Plant Nation Technology) dai coniugi architetti Cristiana Favretto e Antonio Girardi in collaborazione con i ricercatori del Linv di Firenze, il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale.

Si tratta di una serra modulare, di forma ottagonale, ispirata alla struttura di base delle piante e costruita con materiali a basso costo su una piattaforma galleggiante poggiata su fusti di plastica riciclata: la forma e le dimensioni sono concepite per ottimizzare lo spazio e l’energia ed è pensata per essere installata in zone costiere urbane o periurbane. La zattera è adibita alla coltivazione di piante e ortaggi (può produrre circa mille piante di insalata ogni mese) e nonostante le condizioni apparentemente proibitive è totalmente autosufficiente.

Per irrigare le piante, infatti, il sistema è stato pensato proprio osservando quello che avviene in natura con il fenomeno delle piogge: la serra funziona da “dissalatrice”, purificando l’acqua marina (altrimenti tossica per le coltivazioni) grazie all’evaporazione prodotta dai raggi solari e raccogliendola nei fusti riciclati, nella misura di circa 200 litri al giorno. Una centralina automatizzata aggiunge all’acqua i nutrienti necessari per la coltivazione e, attraverso un sistema di pompe, la invia alle canaline che la portano alle piante. Grazie allo stesso sistema, è anche possibile filtrare e depurare l’acqua qualora la zattera venga installata lungo un corso d’acqua dolce. Per quanto riguarda l’energia anche questa viene totalmente autoprodotta grazie alla presenza di pannelli fotovoltaici intorno al tetto e che sopperiscono da soli al fabbisogno energetico dell’intera struttura.

Per finire, una serie di webcam consente di controllare le piante anche a distanza, mentre dei sensori hanno il compito di monitorare che i parametri ambientali principali restino sempre ottimali e costanti. In questo modo avviene tutto secondo un ciclo naturale, ad impatto zero ed estremamente elementare, ma allo stesso tempo molto efficace ed efficiente, consentendo un risparmio del 70 per cento di acqua.

Il progetto, unico nel suo genere, ha vinto molti premi e riconoscimenti tra cui il premio “Idee innovative e tecnologie per l’agribusiness” promosso da Cnr e Onu ed è stata presentata in vari paesi che hanno da subito mostrato grande interesse. Questa soluzione potrebbe rappresentare una risposta ottimale alle esigenze di produrre cibo anche dove oggi non è possibile, nelle aree del pianeta meno generose perché prive di terreni coltivabili o di risorse idriche.

Aggiornato il 04 ottobre 2018 alle ore 10:36