Twitter e la morale post Berlusconi

Paola Ferrari, presentatrice di Rai Sport e Domenica Sportiva, ha scelto male i tempi per difendere la sua immagine. Offesa da commenti negativi durante la trasmissione Stadio Europa sugli Europei di calcio 2012, si è rivoltata contro Twitter minacciando una querela poi non concretizzatasi. Il buffo è che per annunciarla ha usato la piattaforma Google di YouTube ed un’altra trasmissione gossipara. Su diffamazione e dintorni, nell’epoca della privacy, regna la confusione più assoluta, mentre il pettegolio, un tempo limitato al caffè sport e alle portinerie, è il re dei content di social network, comunicazioni digitali e telefoniche e delle stesse istituzioni.

I 47 stati membri del Consiglio d’Europa, da non confondersi con l’Unione, si sono accorti delle grandi differenze esistenti sulla diffamazione mediatica dei diversi paesi. La libera Inghilterra ad esempio, patria della libertà di stampa e regno del gossip mediatico più diffuso, ha giudici particolarmente severi con i calunniatori, come si è visto nel caso intercettazioni e Murdoch. In mezzo c’è la Francia che vorrebbe applicare ai flussi digitali le normative severe sulla stampa dell’800 e tutto dall’altro lato, c’è l’Italia dove sono i principali operatori di media ed istituzioni ad attingere a piene mani alla diffamazione o ad usarla come arma intimidatoria a protezione di piccole corporazioni.

Come sulla pirateria informatica o la custodia dei dati, anche sulla diffamazione, le normative si sono date compiti sovrumani, chiamando aziende private, dalle tlc al bancario, ad agire con il ruolo di pubblici ufficiali, mettendoli sotto la spada di Damocle del non rispetto dei confini di un tracciato sospeso in aria e sottile come la lama di un rasoio. L’obiettivo della protezione dei mercati e dei consumatori resta aleatorio una volta che i primi siano naturalmente contaminati da mondi con diversi standard di regole ed i secondi distribuiscano essi stessi i propri dati nell’interattività generale. Le leggi ed i ben diversi risarcimenti ai calunniati stanno producendo un mercato di turisti di aule giudiziarie, il cosidetto libel tourism. Si va a fare causa dove si è tutelati di più, saltando le disattenzioni dei giudici locali.

Come al solito la libertà di movimento, quando si tratta, di persone fa scattare problemi inattesi, quale questa libertà di movimento per la giustizia, Non è chiaro come farà il Cde a garantire contro risarcimenti non proporzionati ai danni subiti, decisi dai giudici nazionali. Forse esautorandoli a favore della Corte europea dei diritti umani sembra suggerire Jan Kleijssen, omologo nel Cde alla Kroes, commissaria Ue per società dell’informazione e Internet. Nel frattempo la Ferrari potrebbe essere invogliata a presentare la sua causa contro Twitter a Londra. Per l’Italia ha sbagliato i tempi. Non è più di moda il “se non ora quando” che vide adolescenti e tardone, belle e brutte, alte e basse, brune e bionde, famose e ordinarie, coatte e sofisticate unirsi in coro per difendere l’oltraggio al corpo femminile esibito e venduto e nel contempo alzare la più grande accusa per affondare il governo del libertino Berlusconi.

Il mito dello scempio di donne è uscito dalle cronache politiche, come quello degli sms a raffica. La crisi ha reimposto la voglia di distrarsi in locali pomeridiani, in balere serali ed in notturne disco con i soliti festival e contest di veline, miss provinciali e non; con le mille passerelle di succinta biancheria intima da guardone occhio di bue dei Greggio e Bonolis. Nelle smart cities, cioè le città sorvegliate a vista da migliaia di telecamere, imperversa il fenomeno tripartisan, sotto ogni cielo della politica, a Roma, Firenze e Torino, del Grande Coito, amplessi sul selciato tra la folla. Un genere da suggerire a Endemol, se comprerà La7, per sostituire il Grande Fratello, in attesa che i lassativi pubblicitari, dentro e fuori gli spot lancino l’erede immediato, il Grande Cesso.

La Ferrari ha mancato quindi i tempi per la solidarietà femminile, già messa in campo solo per una precisa campagna politica. Si è offesa per le critiche rivoltele per troppi trucco e lampada. Si potrebbe obiettare che durante i mondiali di calcio i medesimi argomenti furono base degli sfottò di due baroni come Galleazzi e Costanzo. È difficile non vedere l’autosatira da parte della lampadissima in frasi come “andiamo nelle miniere sarde: una zona d’Italia che da qualche settimana è sotto la luce dei riflettori”. La tv, abituata ai televoti di Sanremo, in futuro dovrà confrontarsi con l’interattività digitale nella tv connected.

Alla prima critica le star tv padrone del microfono, non possono chiedere il contraddittorio; semmai accettare i fischi dei cinguettatori in nome di un’utenza scocciata di vedere trasmissioni must, straziate per motivi extraredazionali e veline ascendere a giornaliste. Sesso, gonna corta, scollature se c’è il calcio, forse, non sono indispensabili ai dati d’ascolto. La tv sportiva, scomparso Tosatti, già soffre di un notevole peggioramento giornalistico: perché aggravarlo con poche competenze e abiti da entreneuse indossati fuori tempo massimo generazionale?

La stretta agli utenti, già oggi rintracciabili e punibili dalla legge, porterebbe alla repressione digitale stile cinese con la fine dalla responsabilità individuale per una di sistema, nel contesto poi dell’obbligatorietà dell’azione penale. Come chiedere di chiudere telefono o fax. A parte gli interessi pubblicitari, («la Ferrari ma alla fine ci hai denunciati o no?» @alessio_88), la querela annunciata sulla rete è divenuta sinonimo con #QuerelaConPaola dell’assurdità di voler denunciare ogni cosa sgradita, inclusa l’aria nel caso di grida ed ha scatenato ondate di conguettii: «P.F. è un alieno punto» (@_vali9); «F. a incandescenza per l’ultima volta. Stanotte accendo una candela per solidarietà» (@EnricoBattista); «Hanno spento il faro. Visto che twitter serve a qualcosa?» (@fra_fuma); «Quando io facevo le scuole medie la F. aveva già 50 anni» (@paolocercato); «la F., clamorosa la vittoria della roma.

Mi chiedo chi l’abbia messa lì. La casta dei giornalisti sportivi» (@marcoleone1); «Da domani non più in vendita le lampadine a incandescenza. Lutto nello studio Rai» (@SatirSfaction); «alla F. hanno tolto lo sfondo bianco» (@ab_qualcosa); «Sono autolesionistico stasera. Accendo la tv e affronto la visione» (@mausat7); «a guardarla più di 3 secondi, vengono male agli occhi!?» (@Mandirola); «guardatemi, non sono rifatta» (@myredona); «Barbie P.F.!!» (@Syria); «Io da grande voglio fare la F. del quartiere» (@Candeggina); «vanno di moda i colori fluo, ma vogliamo parlare delle ciocche giallo paglierino» (@fredcic); «il faro di P.F.è sparito davvero?» (@lord_tvblog); «Consuma più energia elettrica il faro che illumina F. in un minuto che il Botswana in un decennio» (@twitstupidario); «P.F.must have been hot like 20 years ago. Now she looks scary» (@slowriot23).

Senza querele, all’accusa di essere rifatta la nostra ha usato la difesa sussiegosa della dignità dell’habeas corpus con l’esposizione universale estiva sulle sue pagine Facebook delle foto balneari, prova provata della genuinità del decoltè. Abbronzato, lampado, sparato, farato, succinto, attempato ma non manomesso, neanche medicalmente. Così la rivolta delle donne si è fatta la rivolta delle tette.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 02:49