Xi blocca terre rare e cerca alleati

Approvvigionamento strategico. Ecco le parole chiave di questa settimana per Pechino e il suo leader, Xi Jinping, che da una parte ha ordinato la sospensione delle esportazioni di metalli critici, magneti e altri componenti fondamentali derivanti dalle terre rare. E contestualmente, ha dato avvio a un tour nel Sud-Est asiatico, presentandosi come garante della stabilità contro “il caos di Donald Trump”, in un quadro che si configura sempre più come una guerra geopolitica, più che semplicemente commerciale. La prima tappa, prima della Malesia e della Cambogia, è stata il Vietnam. Da Hanoi, il presidente della Repubblica popolare cinese ha lanciato un appello esplicito per costruire un fronte comune con i Paesi vicini contro “il bullismounilaterale” degli Stati Uniti. Il Dragone, oggi guidato dall’uomo più potente dai tempi di Mao Zedong, mette sul tavolo una delle armi più temute nella competizione globale: il controllo di materie prime vitali per settori strategici come quello della difesa, dell’elettronica, dell’automotive e dell’aerospazio. A rischio è l’intera filiera hi-tech mondiale, inclusa quella dei semiconduttori e di un’ampia gamma di beni di consumo.

Secondo quanto riportato dal New York Times, Pechino starebbe finalizzando un nuovo impianto normativo che, una volta operativo, potrebbe escludere in modo permanente alcune aziendeoccidentali, incluse quelle legate alla difesa americana. La stretta attualmente in atto riguarda sei metalli pesanti raffinati esclusivamente in Cina e i magneti in terre rare, di cui il 90 per cento della produzione mondiale è concentrata nel Paese asiatico. I tempi per l’eventuale rilascio di licenze speciali rimangono incerti, con il rischio concreto di esaurire le scorte estere attualmente disponibili.

Nonostante un cautosegnalediapertura giunto da Washington con l’esenzione tariffaria per dispositivi elettronici come smartphone e Pc – definita dal Ministero del Commercio cinese un “piccolo passo” – la stampa statale di Pechino ha rilanciato chiedendo “azioni più concrete” da parte degli Stati Uniti per dimostrare “la serietà” dei colloqui. Intanto, in Cina si torna a parlare di ritorsioni economiche: un commento diffuso dall’account ufficiale Yuyuantantian del network statale Cctv ha sottolineato come la diminuzione dell’importazione di film statunitensi abbia provocato perdite significative in Borsa per colossi dell’intrattenimento come Walt Disney, Comcast, Sony Group, Paramount Global e Netflix. Il prossimo bersaglio, suggeriscono i media, potrebbe essere la proprietà intellettuale, inclusi i marchi americani e i parchi tematici.

Nel frattempo, Xi ha intrapreso il suo viaggio nella regione indocinese forte di dati economici positivi: a marzo, l’export cinese è cresciuto del 12,5 per cento su base annua, con un surplus commerciale pari a 102,64 miliardi di dollari. Il suo arrivo ad Hanoi è stato accolto con tutti gli onori: 21 colpi di cannone, picchetto d’onore e sfilate di bambini con bandiere cinesi e vietnamite. Nella sede del Partito comunista vietnamita, accanto al segretario generale Tô Lâm e sotto l’imponente busto dorato di Ho Chi Minh, Xi ha ribadito la necessità di “opporsi congiuntamente alle intimidazioni unilaterali e sostenere la stabilità del sistema globale di libero scambio, nonché delle catene industriali e di approvvigionamento”, secondo quanto riferito dall’Agenzia Nuova Cina (Xinhua). L’incontro si è concluso con la firma di 45 accordi bilaterali, che spaziano dalla cooperazione nella filiera manifatturiera all’Intelligenza artificiale, fino allo sviluppo infrastrutturale ferroviario e ai pattugliamenti congiunti nel Mar Cinese meridionale, nonostante le tensioni storiche legate alla sovranità marittima.

Nel suo discorso, Xi ha rimarcato la posizione cinese secondo cui “una guerra commerciale e una guerra tariffaria non produrranno vincitori. E il protezionismo – ha aggiunto – non porterà da nessuna parte”. Un messaggio diretto anche al Vietnam, coinvolto in un delicato equilibrio tra Pechino e Washington. Attualmente, il 30 per cento dell’export vietnamita è diretto verso gli Stati Uniti, contro il 16 per cento destinato alla Cina. Una disparità che mette alla prova la cosiddetta diplomaziadel bambù”, capace finora di piegarsi senza spezzarsi, mantenendo relazioni cordiali con entrambi i giganti. Trump, dalla sua scrivania nello Studio Ovale, ha commentato con toni provocatori: “Cina e Vietnam si sono incontrati per capire come danneggiare gli Stati Uniti”, prendendo di mira Tô Lâm in vista dei prossimi round negoziali.

Aggiornato il 15 aprile 2025 alle ore 18:13