
L’operazione in corso nel sud della Striscia di Gaza rappresenta, per portata e implicazioni strategiche, una manovra senza precedenti nella lunga storia del conflitto israelo-palestinese. Le mappe di evacuazione diffuse sui social dal portavoce dell’esercito israeliano in lingua araba tracciano visivamente l’ampiezza dell’offensiva: dal 18 marzo, data che segna la fine di una tregua durata due mesi, Israele ha ripreso i raid sulla Striscia e ha esteso la cosiddetta “zona cuscinetto” lungo il confine meridionale con l’Egitto, inglobando l’intera Rafah, ovvero il 20 per cento circa dell’intera enclave palestinese. Tutto ciò, per spingere i terroristi di Hamas – che governano a Gaza dal 2006 – a restituire a Israele gli ostaggi. E le immagini diffuse dai media ritraggono le desolazione della Striscia: distese di terra sbancate, macerie rase al suolo da bulldozer militari. Una realtà che conferma le parole del ministro della Difesa Israel Katz, che in visita al Corridoio Morag ha dichiarato: “Vaste aree vengono conquistate e aggiunte alle zone di sicurezza di Israele, lasciando Gaza più piccola e isolata”, sottolineando l’obiettivo dichiarato dell’operazione: costringere Hamas alla liberazione dei prigionieri.
Parallelamente, sta prendendo forma una parte sovente criticata del piano di Donald Trump e Benjamin Netanyahu per il futuro della Striscia: lo spostamento della popolazione palestinese in altri Paesi. Nonostante siano arrivate anche condanne da parte della comunità internazionale, Israele sembra procedere determinato su questo fronte, registrando i primi segnali concreti. “L’Indonesia è pronta a dare rifugio temporaneo ai palestinesi colpiti dalla guerra a Gaza”, ha annunciato il presidente Prabowo Subianto prima di partire per il Medio Oriente. La stima iniziale prevede il trasferimento di circa mille residenti nella prima fase. “Siamo pronti a evacuare feriti, traumatizzati, orfani”, ha aggiunto, precisando – in modo diplomaticamente calibrato – che l’accoglienza sarà “temporanea”. Poiché tra Tel Aviv e Giakarta non esistono rapporti diplomatici ufficiali, è stato attivato un canale riservato per sviluppare un piano di ricollocamento della popolazione civile. Secondo fonti diplomatiche, l’Indonesia – pur senza indicare cifre precise – si dichiara pronta ad accogliere “un numero significativo” di palestinesi, sottolineando il possibile impiego nel settore edilizio come vantaggio per l’economia del Paese. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato i contatti con Donald Trump sul futuro dell’enclave. Durante il volo di ritorno da Washington, ha dichiarato: “Siamo in contatto con Paesi che vedono la possibilità di accogliere molti abitanti di Gaza. È importante, perché alla fine è quello che deve accadere”.
Sul terreno, l’offensiva si intensifica. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno colpito con potenza crescente nelle ultime 24 ore, soprattutto nel nord della Striscia. A Shejaiya, un intero edificio residenziale è stato distrutto da un raid: le vittime si conterebbero sulle decine. L’esercito dello Stato ebraico ha riferito che l’azione mirava all’eliminazione di un alto comandante di Hamas. Secondo quanto riportato da al Arabiya, l’obiettivo dell’attacco era Haitham al-Sheikh, comandante della brigata Shajaiyah. La sua sorte non è stata confermata. Un testimone ha descritto il bombardamento con parole drammatiche: “Diversi missili” sono stati tirati contro il palazzo di quattro piani, vicino al quale erano state montate tende per gli sfollati. “Le schegge volavano in tutte le direzioni, si sentivano le urla delle persone terrorizzate. È stata una scena terrificante”. Nel sud, le truppe israeliane continuano ad avanzare lungo il corridoio Morag, la rotta est-ovest progettata per collegare Rafah e Khan Younis. Quando il corridoio sarà completato, la zona cuscinetto si estenderà dalla linea di confine egiziana – lungo il corridoio Filadelfia – fino alle porte orientali di Khan Younis, inglobando l’intera Rafah. Fonti della Difesa israeliana hanno confermato ai media locali che sono in corso valutazioni sul futuro dell’area: non è ancora chiaro se diventerà una zona interdetta ai civili o se verrà completamente demolita, trasformandola in un’area militarizzata. Prima della guerra, tra l’asse Filadelfia e Morag vivevano circa 200mila palestinesi. Oggi il settore è pressoché deserto.
Aggiornato il 10 aprile 2025 alle ore 14:34