
Il Sudan del Sud è insieme lo Stato più giovane del mondo e uno dei più poveri. Nasce nel 2011, Africa centro-orientale, nessuno sbocco sul mare; si separa dal Sudan dopo due sanguinose guerre civili, da sempre sull’orlo di un baratro. Le previste elezioni nel 2024 non hanno mai avuto luogo. Rimandate nel 2026, tutto fa pensare che non ce ne saranno le condizioni. È in corso un mai sopito conflitto tra i Dinka, tribù più numerosa del paese, sostenitori del presidente Salva Kiir, e i Nuer, secondo gruppo più numeroso, schierati con il vicepresidente Riek Machar; una guerra sanguinosissima: si è calcolato che tra il 2013 al 2018 abbia causato circa 400mila vittime (civili, bambini, donne, anziani, oltre che combattenti) e quasi 4 milioni di sfollati.
La tensione è altissima, una ulteriore recrudescenza del conflitto è da tutti gli osservatori considerata imminente: dopo settimane di combattimenti tra l’esercito regolare (di Kiir) e la milizia del White Army (di Machar), nell’Alto Nilo (uno dei dieci Stati del Sudan del Sud, la regione di Machar e la principale area petrolifera del paese), a inizio marzo a Nasir, White Army ha attaccato un elicottero delle Nazioni Unite e ucciso 28 persone. Il governo Kiir attribuisce la responsabilità a Machar, lo ha arrestato assieme allo stato maggiore del suo partito. Col che si è infranto il fragile accordo di condivisione del potere stipulato nel 2018.
Il governo di Kiir è instabile: nell’ottobre scorso è stato licenziato il capo dell’intelligence (e suo concorrente) Akol Koor; a febbraio è toccato ad altri due vicepresidenti, sostituiti da Benjamin Bol Mel, genero del presidente, sanzionato dagli Stati Uniti e accusato di corruzione, ora considerato il suo più probabile successore. La salute di Kiir è infatti precaria da almeno tre anni.
Il vicino Kenya tenta una difficile mediazione, l’Uganda considera il Sudan del Sud come il suo “cortile”, Kiir come un suo uomo. Machar ha reso nota una lettera in cui chiede alla comunità internazionale di porre fine alla presenza militare dell’Uganda nel Sudan del Sud. A complicare la situazione l’evidente intreccio con la guerra nel vicino Sudan: l’esercito regolare del Sudan, nel tentativo di strappare il controllo dell’area di confine ai rivali delle Rsf, gioca un ruolo nel fomentare l’instabilità del vicino meridionale, rifornendo di armi le milizie ribelli. A causa dell’interruzione della produzione di petrolio (oltre il 90 per cento delle entrate nazionali), il tasso di povertà nel Sudan del Sud è salito sopra il 90 per cento: da qui un’enorme ondata di profughi. Un cortocircuito provocato anche dal fatto che il petrolio del Sudan del Sud è di qualità scarsa, non attira investimenti rilevanti. Il paese usa solo oleodotti sudanesi per esportare il petrolio da Port Sudan, sotto il controllo dell'esercito regolare sudanese; a sua volta l'esercito dipende in parte dalle tariffe di transito del petrolio del Sudan del Sud per combattere le Rsf. Il petrolio sudsudanese però è ipotecato dagli Emirati Arabi Uniti, che sono il principale sostenitore delle Rsf, gli Emirati Arabi Uniti.
Insomma, la situazione non potrebbe essere più complicata di quanto sia. Una delle tante guerre dimenticate, ignorate; che non indignano, non commuovono.
Aggiornato il 09 aprile 2025 alle ore 11:17