
Ronen Bar resta al suo posto. Almeno per ora. La Corte suprema israeliana ha stabilito che il direttore dello Shin Bet continuerà a esercitare le sue funzioni “fino alla prossima decisione”, sospendendo di fatto la rimozione voluta dal primo ministro Benjamin Netanyahu. Il pronunciamento, arrivato al termine di un’udienza tesa e frammentata, rinvia lo scontro a data da destinarsi, lasciando aperta una delle più accese contese istituzionali degli ultimi mesi tra il governo e l’apparato giudiziario del Paese. La mossa di Bibi, che aveva chiesto la rimozione di Bar entro il 10 aprile citando una “mancanza di fiducia”, era stata formalizzata con un voto unanime dell’esecutivo. Ma il tentativo di silurare il capo dei servizi di sicurezza interni è stato subito impugnato davanti alla Corte da partiti di opposizione e organizzazioni civiche, che ne hanno contestato la legalità. La sentenza ha immediatamente sollevato nuove tensioni politiche, alimentando le proteste nelle piazze – già presenti per via della gestione del caso ostaggi – e trasformando la figura di Bar in un simbolo della resistenza alle pressioni del premier.
Netanyahu, impegnato in una guerra su due fronti con Hamas, e le milizie filo iraniane di Hezbollah, di certo non desidera tensioni anche interne al suo Paese. Una decisione “sconcertante”, ha commentato Bibi, criticando il tribunale per aver ostacolato l’operato dell’Esecutivo: “È impensabile che al governo israeliano venga impedito di rimuovere dall’incarico un capo fallito dello Shin Bet semplicemente perché è stata aperta un’indagine che non è correlata a nessuno dei ministri del governo”, ha dichiarato il premier, facendo riferimento allo scandalo noto in patria come Qatargate. Netanyahu ha inoltre confermato che proseguirà con i colloqui per selezionare i possibili sostituti di Bar. Nel dispositivo della Corte si legge che “Bar continuerà a svolgere i suoi doveri fino a una decisione successiva” e che “non si dovrebbero prendere misure per porre fine al mandato del capo dello Shin Bet, inclusa la nomina di un sostituto o di un ad interim”. Tuttavia, si precisa che “non c’è nulla che impedisca i colloqui con i candidati per la carica, senza annunciare una nomina”.
Il presidente della Corte, Yitzhak Amit, ha chiesto alle parti di trovare un punto d’incontro, rinviando ogni ulteriore passo a dopo la Pasqua ebraica, che si concluderà il 19 aprile. “Vi diamo tempo fino a dopo la Pasqua per cercare di raggiungere una soluzione creativa concordata”, ha dichiarato, auspicando un compromesso tra governo e procura. L’udienza si è svolta tra le proteste dei cittadini sia all’esterno che all’interno del tribunale di Gerusalemme. Dopo mezz’ora dall’inizio, le continue interruzioni da parte del pubblico hanno costretto i giudici a sospendere i lavori, ripresi circa un’ora più tardi a porte chiuse, “per consentire il diritto di discutere senza paura per tutte le parti coinvolte”.
Durante la seduta, l’avvocato Zion Amir, legale del governo, ha definito il ricorso “una petizione puramente politica”. Di segno opposto le parole di Bar, che ha respinto le accuse rivoltegli da Netanyahu come “generiche e infondate”, motivate da “interessi personali” con l’obiettivo di “impedire che proseguano le indagini sugli eventi che hanno portato al 7 ottobre e altre questioni serie”. Una posizione condivisa dalla procuratrice generale Gali Baharav-Miara, che ha bollato la decisione del governo come “macchiata da un conflitto di interessi personale da parte del primo ministro, a causa delle indagini penali che coinvolgono i suoi soci”, spostando ancora una volta l’attenzione sul Qatargate, lo scandalo che avrebbe travolto alcuni degli uomini più vicini a Netanyahu.
Aggiornato il 09 aprile 2025 alle ore 13:25