
Un grido disperato si leva dalle macerie di Gaza. Mentre le Forze di difesa israeliane hanno eliminato il portavoce di Hamas, centinaia di persone si sono riversate per strada sfidando la paura e la repressione per il secondo giorno consecutivo. Uomini, ragazzi, giovani cresciuti sotto il controllo dei miliziani, ora chiedono solo una cosa: “vivere”. Le loro voci si sono propagate grazie ai social, aggirando il controllo capillare di Hamas, che non hanno esitato a minacciarli. “Megafono di Israele”, li hanno definiti, con un’accusa che in questa enclave può significare il carcere o, peggio, una condanna a morte. Secondo fonti locali, tra gli organizzatori della protesta ci sarebbero attivisti di Fatah, i rivali storici di Hamas, da sempre ai ferri corti con i jihadisti che governano da quasi 20 anni la Striscia. Ma la piazza non grida slogan politici: la rabbia esplosa è quella di una popolazione stremata da mesi di guerra, dal terrore costante dei bombardamenti e dalla fame.
La reazione di Israele non si è fatta attendere. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ribadito la linea dura: “Quanto più Hamas persisterà nel suo rifiuto di rilasciare i rapiti, tanto più forte sarà la pressione militare: questo include la conquista di territori”. Una dichiarazione che spazza via ogni ipotesi di tregua. Ancora più esplicito il ministro della Difesa Israel Katz, che si rivolge direttamente alla popolazione di Gaza: “Presto l’Idf opererà con forza in altre zone di Gaza, sarete costretti a evacuare e perderete ancora più territorio”. Un chiaro riferimento alla zona cuscinetto che Israele sta allargando lungo il confine. Poi l’appello: “Chiedete la rimozione di Hamas e il rilascio immediato degli ostaggi. È l’unico modo per fermare la guerra”. Intanto, i negoziati per una tregua sembrano in un vicolo cieco. Secondo fonti arabe, le proposte avanzate dall’Egitto non hanno trovato un consenso sufficiente per trasformarsi in una vera base di discussione.
Ma la tensione non è solo sul fronte di guerra. Israele è attraversato da un’ondata di proteste senza precedenti, con la società civile e le opposizioni in aperta rivolta contro il governo. La strada che porta alla Knesset è diventata un simbolo del dissenso: lì, tra le tende piantate dai manifestanti, i deputati dell’opposizione hanno deciso di allestire i loro uffici. “Ho aperto il mio ufficio fuori dal Parlamento con colleghi e parlamentari per stare spalla a spalla con i manifestanti e trasmettere un messaggio chiaro, poiché la casa del popolo (la Knesset) non rappresenta più il popolo”, scrive su X il deputato democratico Gilad Kariv. Benny Gantz, leader del partito Unità nazionale, avverte: “Il Paese è sull’orlo di una guerra civile”. Le sue parole sono dirette al ministro della Giustizia Yariv Levin, promotore della controversa riforma che aumenterebbe il controllo politico sulle nomine dei giudici. Ma il governo non cede e l’opposizione vorrebbe boicottare il voto finale.
La protesta non si ferma a Gerusalemme. A Tel Aviv, migliaia di persone si sono radunate per chiedere la liberazione degli ostaggi e hanno annunciato una marcia verso la città santa. Davanti alla Knesset, gli attivisti anti-Netanyahu hanno improvvisato una finta ambasciata del Qatar, in riferimento all’inchiesta sui collaboratori del premier sospettati di aver ricevuto fondi da Doha. La tensione politica sta per arrivare al punto di non ritorno. Il licenziamento del direttore dello Shin Bet, l’avvio della procedura di rimozione del procuratore generale, l’approvazione di un bilancio che taglia i fondi al welfare ma finanzia generosamente le scuole ortodosse, sommati alla guerra, sta facendo esplodere il malcontento.
TAJANI: “NESSUN RUOLO PER HAMAS A GAZA”
In questo scenario sempre più incandescente, l’Italia ribadisce la sua posizione di vicinanza a Israele. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani esclude categoricamente che Hamas possa avere un futuro nella Striscia: “L’impegno per la ricostruzione si deve inserire in un solido quadro politico e di sicurezza, accettabile sia per gli israeliani che per i palestinesi, che garantisca pace e sicurezza a lungo termine. È chiaro che Hamas non deve avere alcun ruolo nel futuro della Striscia: il nostro unico interlocutore continua ad essere l’Autorità palestinese”, ha spiegato il vicepremier. Roma punta su Ramallah e sulla riforma della sicurezza palestinese: “Abbiamo inviato i nostri Carabinieri a Rafah per assicurare l’apertura del valico, fondamentale per la popolazione, e formare le forze di sicurezza palestinesi. Li ho incontrati quando sono stato a Tel Aviv nelle scorse settimane; stanno facendo uno straordinario lavoro di cui dobbiamo essere loro riconoscenti”.
Infine, Tajani apre a un possibile intervento internazionale: “In prospettiva, come ho ribadito in più occasioni, l’Italia è anche pronta a contribuire a una missione di peacekeeping a guida araba dispiegata nella Striscia”.
Aggiornato il 27 marzo 2025 alle ore 15:17