
Ankara sta scherzando con il fuoco. La situazione delle proteste a seguito della sospensione del sindaco di Istambul Ekrem Imamoglu, oppositore politico di Recep Tayyip Erdoğan – e pretendente alla presidenza – sta degenerando. Nel primo pomeriggio, l’Ansa ha riportato che il tribunale della capitale ha ordinato l’arresto per sette giornalisti – fermati durante le manifestazioni di ieri – che erano stati messi in custodia dopo avere documentato le proteste non autorizzate, in corso nella città turca. Tra loro, il fotografo di Afp Yasin Gul, il noto fotoreporter Bulent Kilic, il giornalista di New Ali Onur Tosun, ma anche Zeynep Kuray, Kurtulus Ari e Gokhan Kam. In un primo momento erano stati rilasciati con la libertà condizionale, ma la decisione è stata ribaltata, con conseguente sdegno della stampa internazionale e delle istituzioni occidentali.
Le manifestazioni non si fermano. Dai quartieri di Beşiktaş a Sarachane, la piazza davanti al municipio, ogni sera migliaia di persone si riuniscono per esprimere sostegno al sindaco sospeso e per contestare apertamente Erdogan. A Smirne, Ankara e nelle principali città turche, la situazione è la stessa: cortei, scontri con la polizia, centinaia di arresti. Nei giorni scorsi la prefettura turca ha vietato i raduni, ma il dissenso della popolazione verso Erdoğan sembra difficile da contenere. E il presidente, nonostante la contestazione apertamente indirizzata ai suoi metodi e alla sua deriva poco democratica, continua a combattere il fuoco con il fuoco. Il capo di Stato ha alzato ulteriormente il livello dello scontro, definendo i manifestanti “terroristi di strada” e prendendo di mira il Partito popolare repubblicano (Chp), che ha candidato Imamoglu alle presidenziali. “Hanno tenuto un’elezione dove i voti sono stati dati pubblicamente ma sono stati contati in modo segreto”, ha dichiarato Erdogan, definendo il processo interno del Chp “uno spettacolo teatrale”. Una stoccata a una consultazione che ha coinvolto quasi 15 milioni di persone in tutte le 81 province turche. “Quando calerà il sipario, il loro spettacolo sarà finito”, ha aggiunto il leader turco. Nel frattempo, il Ministero dell’Interno ha fatto sapere che tra gli oltre 1.100 arrestati durante le proteste ci sarebbero affiliati a 12 diverse organizzazioni terroristiche. Criminalizzare il dissenso per giustificare la repressione.
Eppure le tensioni in Turchia iniziano a destare preoccupazioni anche in Europa. La Germania – che ospita un’enorme comunità turca, e tantissimi tedeschi sono turchi di seconda e terza generazione – ha condannato l’arresto di Imamoglu, definendolo “inaccettabile” e “un cattivo segnale per la democrazia”. Il governo di Berlino teme che la repressione possa avere ripercussioni sulle relazioni bilaterali con Ankara. Anche la Grecia segue con attenzione la situazione. Atene ha fatto sapere che la crisi in Turchia potrebbe far saltare la visita del premier Kyriakos Mitsotakis ad Ankara, prevista per la primavera. Un appuntamento importante, che avrebbe dovuto riaprire il dialogo tra i due Paesi dopo anni (secoli) di tensioni. “La situazione in Turchia è instabile e preoccupante”, ha dichiarato un portavoce del governo greco, confermando che Atene sta monitorando da vicino gli sviluppi.
Infine, le conseguenze politiche della vicenda si riflettono anche sull’economia turca. La lira continua a perdere valore, scendendo a 37,87 sul dollaro e 41,05 sull’euro. La fiducia degli investitori crolla, e i mercati rispondono con il panico. La Borsa di Istanbul, che in una settimana ha perso oltre 16,5 per cento, segnando il peggior ribasso dal 2008, ha tentato un timido recupero, chiudendo con un rialzo del 3 per cento. Un rimbalzo tecnico, così si dice, ma il clima resta teso. L’Autorità turca per i mercati finanziari è stata costretta a vietare le vendite allo scoperto fino al 25 aprile, nel tentativo di arginare la speculazione.
Aggiornato il 25 marzo 2025 alle ore 16:26