Il bastone, la carota e l’arte della commedia

Già otto anni fa il quotidiano inglese The Guardian pubblicava un articolo di Simon Tisdall dal titolo Donald Trump attempting to play Nixon's “China card” in reverse, (Donald Trump tenta di giocare la carta cinese di Nixon al contrario) e pochi giorni fa Ambrose Evans-Pritchard, sul The Telegraph, firma un pezzo dal titolo Trump’s “reverse Nixon” charade insults our intelligence (la sciarada di trump reverse Nixon insulta la nostra intelligenza). Quanto basta per renderci conto che, in ogni caso, il tentativo di Donald Trump di indebolire il legame fra Russia e Cina, indipendentemente dalla valutazione che se ne può dare, è un dato di fatto piuttosto evidente. Definire una simile strategia come reverse Nixon (riavvicinamento Cina-Usa negli anni Settanta e il contrario oggi) non è molto importante perché ciò che conta sono la sua praticabilità e le sue possibili conseguenze.
Secondo William Jackson e Mark Williams, economisti di Capital Economics, il colloquio fra Washington e Mosca copre “una più ampia riapertura delle relazioni tra Stati Uniti e Russia”. In effetti Trump, da una parte, ha sottolineato apertamente le “incredibili e storiche opportunità” offerte alle aziende americane dalla fine della guerra in Ucraina e, dall’altra, ha fatto confermare dai suoi collaboratori, Keith Kellogg e Marco Rubio, l’intenzione di separare l’economia cinese da quella russa. Tutto sembrerebbe dunque piuttosto chiaro ma non mancano le contraddizioni e le sorprese sono destinate ad emergere in un vortice che può talora sembrare caotico.
Trump, infatti, non cessa di stupire e, nonostante l’imposizione di un dazio aumentato del 20 per cento nei confronti della Cina e l’annuncio di una “gara” senza tregua in tema di Intelligenza artificiale contro il temuto primato di Pechino, come fa notare Michael Clarke, esperto di strategia dell’australiana Deakin University, parla anche di nuove opportunità nell’interscambio con il colosso orientale. Come a sua volta fa notare Ali Wyne, ricercatore dell’International crisis group, le mosse di Trump sembrano prospettare una sorta di “G3 (Usa, Russia, Cina, ndr.) che stabilisca un quadro geopolitico definitivo”. Stando ai fatti, c’è un’ulteriore serie di decisioni americane destinate a bilanciare, e contro-bilanciare, la strategia principale, come le sanzioni proprio contro Russia, Iran e Corea del Nord attraverso il progetto Caatsa (Countering America’s adversaries through sanctions act) e la minaccia di ulteriori sanzioni nel caso Putin non accettasse di terminare rapidamente il conflitto ucraino.
Il legame fra Mosca e Pechino è però stato riaffermato da Putin, nel 2022, come un’alleanza senza limiti ma il 2022, data la rapidità dei cambiamenti in atto, è un secolo fa. Ciò che conterà, nelle prossime settimane, è la capacità di Putin di ‘fare i conti’ per bene onde stabilire cosa gli convenga davvero, e tuttavia, secondo la Yale School of Management, la dipendenza dell’economia russa da quella cinese è crescente e difficilmente eliminabile poiché, oltre a stretti legami di import e export anche militare, oltre 1.000 imprese straniere che hanno lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, sono state sostituite da altrettante imprese di Pechino. Insomma, come sottolineato da Clarke, è difficile immaginare che Putin possa favorire gli interessi di Trump. A meno, forse, di concessioni di vario ordine da parte degli Usa in fatto di “aggiustamentiterritoriali e politici in Ucraina nonché di una “revisione” della Nato e della sua copertura automatica dei Paesi aderenti in caso di aggressione.
In definitiva, Trump sta adottando la tecnica del bastone e della carota in varie direzioni facendo intravvedere ipotesi vantaggiose sia per Mosca sia per Pechino, la carota, ma intervallate, il bastone, da alternative meno allettanti e assai costose. Per ora, egli mantiene un comportamento coerente, stabile e negativo solo nei confronti dell’Europa. Cosa gradita, su vari fronti, sia alla Cina, per ragioni commerciali, sia alla Russia per ragioni strategiche. L’Europa, peraltro, fa gola a tutti sia in termini economici sia in termini simbolici, senza contare quelli strategico-militari in quanto terra di confine con uno dei nuovi “tre grandi”, cioè la Russia. Ma il legame, su tutti i piani, fra Usa e Europa è forte e indelebile almeno quanto lo è quello fra Russia e Cina e probabilmente anche di più. A questo proposito sarà bene non dimenticare che la popolazione degli Stati Uniti è di 333 milioni, quella europea, includendo la Gran Bretagna, di 513, quella Russa di 144 e quella cinese di quasi un miliardo e mezzo ma, moltiplicando le quantità con le qualità intrinseche di ordine scientifico, tecnologico ed economico, alla fine si ottengono valori molto simili fra loro.
I Paesi europei, in assenza di un’entità realmente comune, fanno dunque benissimo ad alzare la voce, anzi “le” voci, e a rafforzare le proprie difese militari ricordando a Trump che i veri avversari sono altri. Ma, alla fine, non credo ciò sia davvero necessario e gli atteggiamenti attuali di Trump non appariranno altro che il primo atto di una commedia. Speriamo ben ispirata.

Aggiornato il 20 marzo 2025 alle ore 10:56