Israele risponde al ricatto di Hamas con un attacco mirato ai vertici terroristici

Israele ha lanciato una serie di attacchi aerei contro la Striscia di Gaza, colpendo infrastrutture strategiche e figure chiave di Hamas. L’operazione, condotta con la massima riservatezza, è stata approvata nel fine settimana dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dai vertici della sicurezza israeliana. L’azione è stata notificata agli Stati Uniti, che hanno dato il proprio consenso con l’obiettivo di aumentare la pressione su Hamas e ottenere il rilascio degli ostaggi ancora in suo possesso. Gli strike hanno colpito alti funzionari dell’ala politica e militare di Hamas, oltre a comandanti operativi di medio livello e infrastrutture utilizzate per il coordinamento delle operazioni terroristiche. Tra le vittime figura anche Abu Hamza, portavoce dell’ala militare della Jihad Islamica. Come spesso accade in conflitti asimmetrici, l’operazione ha provocato anche vittime collaterali tra la popolazione civile, una conseguenza inevitabile della strategia di Hamas, che sistematicamente utilizza aree residenziali per nascondere le proprie strutture militari. Parallelamente, l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione dei civili nelle zone confinanti con Israele, segnale di una possibile estensione delle operazioni militari nei prossimi giorni.

L’obiettivo dichiarato resta duplice: ottenere la liberazione degli ostaggi e ridurre la capacità operativa di Hamas. L’offensiva israeliana si inserisce in un contesto di stallo negoziale aggravato dal rifiuto di Hamas di accettare una tregua proposta dagli Stati Uniti. Il piano, firmato dall’imprenditore, funzionario e diplomatico americano Steve Witkoff, prevedeva un cessate il fuoco temporaneo durante il Ramadan e la Pasqua ebraica, con la liberazione immediata di metà degli ostaggi ancora vivi e dei corpi di quelli deceduti. Il successivo passaggio avrebbe dovuto portare a un cessate il fuoco permanente, con il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti. Hamas ha respinto la proposta, confermando ancora una volta la propria volontà di utilizzare gli ostaggi come leva politica, prolungare il conflitto per consolidare il proprio potere e sfruttare il caos come strumento di legittimazione interna. La sua posizione non è il frutto di un calcolo momentaneo, ma la conseguenza diretta di un’agenda politica che, fin dalla fondazione del movimento, ha escluso qualsiasi forma di compromesso con Israele. L’attuale crisi conferma che la presenza di Hamas al potere nella Striscia di Gaza rappresenta un ostacolo non solo alla sicurezza di Israele, ma anche a qualsiasi prospettiva di stabilità nella regione. L’organizzazione continua a rifiutare qualsiasi soluzione negoziata, utilizzando ogni tregua come un’opportunità per riorganizzarsi militarmente.

Israele ha chiarito che un ritorno allo status quo precedente al 7 ottobre non è un’opzione percorribile. L’attuale offensiva non è solo una risposta immediata agli attacchi subiti, ma parte di una strategia più ampia volta a eliminare la minaccia rappresentata da Hamas in modo definitivo. La comunità internazionale dovrà confrontarsi con una realtà ineludibile: ogni tentativo di stabilizzazione della Striscia di Gaza sarà vano fino a quando Hamas manterrà il controllo del territorio. Il gruppo non ha alcun interesse a una soluzione pacifica e continuerà a perseguire il conflitto come strumento di sopravvivenza politica. In questo scenario, la rimozione di Hamas dal potere non è una questione di mera opportunità strategica per Israele, ma una condizione necessaria per qualsiasi prospettiva di pace nel Medio Oriente.

Aggiornato il 19 marzo 2025 alle ore 10:40