
La missione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite, creata nel 2022 dal Consiglio per i diritti umani, presenterà domani un nuovo rapporto che accusa il regime degli ayatollah di aver intensificato il ricorso alla sorveglianza e alle tecnologie digitali intrusive per reprimere il dissenso in Iran.
Secondo quanto anticipato dalla Bbc, a più di due anni dall’inizio delle proteste “Donna, Vita, Libertà”, l’Iran sta compiendo “sforzi concertati per soffocare il dissenso, perpetuando un clima di paura e impunità sistematica”. Nel rapporto si sottolinea come i funzionari della sicurezza iraniana stiano usando una strategia di “controllo sponsorizzato dallo Stato”, incoraggiando le persone comuni ad usare app telefoniche specializzate per denunciare le donne che violano le rigide norme del codice di abbigliamento imposto in veicoli privati, taxi e ambulanze.
Nel rapporto si legge: “Due anni e mezzo dopo l’inizio delle proteste nel settembre 2022 (scatenate dalla morte della giovane Mahsa Amini, ndr), donne e ragazze in Iran continuano a subire discriminazioni sistematiche, nella legge e nella pratica, che permeano tutti gli aspetti delle loro vite, in particolare per quanto riguarda l’applicazione dell’hijab obbligatorio”. Per capire, bastano gli esempi dell’Università Amirkabir di Teheran, dove le autorità hanno installato un software di riconoscimento facciale al cancello d’ingresso per individuare anche le donne che non indossano l’hijab. O l’uso delle telecamere di sorveglianza sulle principali strade iraniane, che vengono utilizzate per cercare donne senza velo.
Ma, forse, l’aspetto peggiore riguarda la delazione di Stato: “Gli utenti possono aggiungere la posizione, la data, l’ora e il numero di targa del veicolo in cui si è verificata la presunta infrazione dell’hijab obbligatorio”.
Come se le violenze, mentali e fisiche, che già vivono le donne iraniane non fossero abbastanza.
Aggiornato il 17 marzo 2025 alle ore 17:13