
Il vento di centrodestra spira anche in Groenlandia. In un territorio remoto ma strategico (e soprattutto ricco) come l’isola artica, le elezioni anticipate hanno premiato gli underdog democratici: l’opposizione ha avuto la meglio e si sta già preparando a guidare il Paese. Il partito centrista liberale dei Demokraatit ha vinto le elezioni parlamentari con il 29,9 per cento dei voti, superando nettamente le forze politiche al governo. Un risultato che arriva in un momento in cui la Groenlandia – sovente non avvezza al jet-set della geopolitica – è sotto i riflettori internazionali. Complici le ambizioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha più volte espresso il desiderio di “ottenere il controllo dell’isola in un modo o nell’altro”. I seggi si sono chiusi ieri alle 23 (ora italiana), ma per i risultati finali servirà tempo. In un territorio vasto quanto 50 volte la Danimarca, ma con una popolazione inferiore a quella di una città di provincia, lo spoglio non è un’operazione semplice: le schede devono arrivare a Nuuk da sperduti insediamenti artici, spesso a bordo di navi, aerei ed elicotteri.
Con appena 56mila abitanti, perlopiù di origine Inuit, la Groenlandia è una pedina fondamentale nel grande scacchiere dell’Atlantico settentrionale. Non solo per la sua posizione strategica, ma anche per le sue immense riserve di terre rare, minerali indispensabili per l’industria tecnologica globale. La Danimarca la controlla da oltre tre secoli, concedendole l’autonomia nel 1979, ma le redini su affari esteri e difesa restano a Copenaghen. Formalmente, la Groenlandia potrebbe staccarsi in qualsiasi momento: una legge del 2009 permette ai groenlandesi di avviare un processo di indipendenza che dovrebbe poi essere ratificato con un referendum locale e un voto del parlamento danese. Ma qui nessuno ha fretta. L’indipendenza non era nemmeno sulle schede elettorali, così come la questione Trump, ma entrambi i temi hanno aleggiato sulla campagna elettorale.
L’attenzione si è concentrata su problemi più immediati: istruzione, welfare, turismo e, soprattutto, pesca. Quest’ultima rappresenta il 90 per cento delle esportazioni groenlandesi ed è il vero motore economico dell’isola. Il turismo, invece, è visto come un’opportunità di crescita per un Paese che vuole reggersi sulle proprie gambe. Su un punto tutti i partiti sono d’accordo: la Groenlandia deve essere più indipendente, economicamente e politicamente. La differenza sta nei tempi e nei modi. Naleraq, partito nazionalista in forte crescita, chiede di accelerare e iniziare subito il processo di distacco dalla Danimarca. Nelle elezioni del 2021 aveva raccolto il 12 per cento dei voti, e ora si è attestato al 23 per cento dei consensi. La coalizione uscente, composta dal partito di sinistra Inuit ataqatigiit (Ia) del premier Mute Egede e dai socialdemocratici di Siumut, esce da questo voto come sconfitta a sorpresa. Un sondaggio di gennaio dava Ia al 31 per cento e Siumut al 9 per cento, ma la vera partita si giocherà sulle alleanze post-elettorali. Siumut, in particolare, ha promesso un referendum sull’indipendenza dopo le elezioni, mossa che potrebbe dargli la spinta decisiva per poter governare con i democratici.
Aggiornato il 12 marzo 2025 alle ore 12:59