
Yaroslav Bazylevych è arrivato all’Aia alla fine di gennaio per testimoniare, per rivivere il giorno peggiore della sua vita e cercare di attirare l’attenzione dell’Occidente.
A settembre, un missile ipersonico russo ha travolto la sua casa a Sevastopol, in Ucraina, uccidendo all’istante sua moglie, Yevheniya, e le loro tre figlie: Yaryna, Dariia ed Emiliia. Non importa quanto profondamente cerchiamo di empatizzare, nessuno può comprendere una tale perdita.
Bazylevych parla perché raccontare di nuovo la sua storia è l’unico modo per farci vedere, se lo vogliamo, la vera e atroce natura dell’aggressione russa. Così che americani ed europei possano sentire, anche solo per un momento, l’enormità della violenza che la Russia infligge agli ucraini. Così che possiamo finalmente comprendere che “mai più” non è solo una frase da recitare nei discorsi, ma una sacra responsabilità. Essere all’altezza di questa responsabilità inizia con una chiara ammissione: porre fine a una guerra di conquista non è mai nelle mani della vittima.
Quando un assassino annuncia l’intenzione di uccidere, poi entra in casa della vittima per mettere in atto il suo piano criminale, l’unico modo che ha la vittima di “ottenere pace” è morire in silenzio. L’Ucraina rifiuta la guerra ogni singolo giorno. Il problema è che gli invasori non hanno rifiutato l’uccisione.
A tre anni dall’invasione russa su vasta scala, rimaniamo intrappolati in frasi come “le due parti in campo” o “l’Ucraina deve accettare una pace di compromesso”. Di quale compromesso stiamo parlando? La lotta dell’Ucraina è giusta e la Russia, che ha scatenato una guerra non provocata, non merita altro che la sconfitta.
Durante la Guerra fredda, la Russia sovietica rappresentava una minaccia diretta per l’America, e il suo arsenale nucleare eclissava le capacità russe odierne. Eppure, gli Usa, guidati dal presidente Ronald Reagan, mostrarono fermezza. Ciò che Neville Chamberlain non riuscì a comprendere, ma Reagan capì molto bene, è che la forza impedisce le guerre, mentre l’appeasement le fa precipitare.
La lezione − nel tempo − è rimasta invariata: la Russia invade non perché si senta minacciata, ma perché percepisce debolezza e divisioni. Le infinite concessioni occidentali hanno solo rafforzato Mosca. Abbiamo distolto lo sguardo dopo la Georgia nel 2008, abbiamo fatto troppo poco dopo la Crimea nel 2014 e abbiamo lasciato che l’abbattimento del volo Mh17 svanisse nell’oscurità diplomatica.
Ogni volta, abbiamo inviato un messaggio: l’aggressione paga. Non solo. La Russia l’ha sempre considerato solo l’anticipo per la guerra successiva.
Il mondo libero in gran parte non capisce cosa sia la Russia: non una nazione con interessi, ma un impero dedito alla conquista. Dal Caucaso alla Crimea, dall’Artico al Pacifico, Mosca si è arricchita saccheggiando gli altri.
A differenza di altre potenze coloniali, la Russia non ha mai dovuto fare i conti con il suo passato. Il crollo sovietico non ha posto fine al progetto imperiale russo, ma lo ha semplicemente messo in pausa. Ora il Cremlino ci riprova, mascherando la violenza spietata e deliberata con il linguaggio del risentimento, bollando la colonizzazione come “riunificazione”.
Il presidente Donald Trump ha promesso di “garantire la pace attraverso la forza”. Se lo pensa davvero, deve assicurarsi che l’Ucraina vinca. Non una resa negoziata. Non una pausa prima della prossima invasione. Una vittoria.
Alcuni considerano la minaccia russa di una guerra nucleare come il motivo per porre fine a ogni dibattito. Tuttavia, il problema con questa impostazione è che questa minaccia è sempre stata presente nella retorica di Mosca. La questione è un’altra e non possiamo rifiutarci di affrontarla. Cosa accadrebbe se lasciassimo che sia la paura a determinare la nostra risposta?
Mosca ha già agitato la sua sciabola nucleare, e ora viviamo in un mondo in cui quella minaccia è stata fatta. Se dovessimo cedere a questo ricatto, non solo non impediremmo lo scontro nucleare, ma lo renderemmo persino più probabile.
Se la Russia otterrà quella che potrebbe anche solo lontanamente somigliare a una vittoria, riscriverà le regole della sicurezza globale, mandando in frantumi la dottrina della non proliferazione nucleare. La prossima crisi non sarà una questione di sé, ma di quando, e vivremo in un mondo molto più infiammabile di quello odierno.
In questo scenario, il presidente cinese Xi Jinping ha studiato ogni mossa della Russia. Ha ben chiaro cosa può sopportare il Cremlino, cosa tollererà l’Occidente e dove si stanno formando le crepe.
L’economia russa sta vacillando, il rublo è in caduta libera e Mosca sta tagliando la spesa sociale per far funzionare la macchina da guerra. L’India ha capitalizzato la disperazione della Russia dopo il suo divorzio dall’Europa, accaparrandosi petrolio, carbone e fertilizzanti a basso costo e regolando il 90 per cento degli scambi commerciali in valuta locale. Ora sia l’India che la Cina stanno diventando caute, interrompendo gli acquisti di petrolio russo per marzo, poiché le loro banche temono le sanzioni.
Ciò che accadrà in Ucraina non resterà in Ucraina. Se il Cremlino trarrà profitto dall’aggressione, Xi ne trarrà insegnamento. La forza plasmerà non solo il futuro dell’Ucraina, ma anche l’equilibrio di potere per gli anni a venire.
È tempo di usare la ricchezza sottratta alla Russia contro di essa. Trecento miliardi di dollari in asset russi congelati restano inutilizzati, uno strumento non ancora utilizzato. Come hanno recentemente sostenuto Niall Ferguson, storico britannico ed esperto di imperialismo e colonialismo, e Chris Miller, docente di storia internazionale, questi fondi dovrebbero essere sequestrati per ricostruire l’Ucraina, proprio come sono stati utilizzati gli asset tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale. Questo non è solo pratico, è semplice.
La scelta che ci si presenta è netta: forza o resa, coraggio morale o pacificazione forzata. Lasceremo che il dolore di Yaroslav Bazylevych resti ignorato? Permetteremo che gli assassini che hanno rubato il futuro alle sue figlie restino impuniti?
Se non riusciamo a trovare la volontà di agire per il bene dell’Ucraina, dobbiamo farlo per il nostro bene. Le capacità senza credibilità non sono un deterrente, ma una farsa grottesca. Se esiteremo i nostri avversari smetteranno di prenderci sul serio.
L’Ucraina ha fatto la sua parte. È tempo che anche noi facciamo lo stesso.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
Aggiornato il 17 febbraio 2025 alle ore 17:04