Il caso del generale 66enne libico Njeem Osama Elmasry, conosciuto come Al-Masri – carriera militare non costruita su un percorso accademico – sta strumentalizzando una limitata linea di opinioni su basi che ritengo tendenzialmente speculative. L’accusa al Governo italiano da parte di frange politiche e dell’informazione, di avere liberato a Tripoli, non in Libia, in quanto il Paese è governativamente ben diviso, un torturatore e stupratore, o è una polemica basata su una posizione politica, o si disconoscono le “dinamiche carcerarie”, che normalmente vigono nelle prigioni libiche in generale, ma potrei aggiungere in tutta l’Africa e elencare buona parte degli stati del Pianeta. Il ruolo di Al-Masri è sicuramente quello di capo della polizia giudiziaria di Tripoli, in quanto sulla Cirenaica e sul Fezzan, le altre due regioni del territorio libico, non ha il minimo potere. È anche vero che la discutibile è poco considerata Corte penale internazionale (Cpi) con sede all’Aja, ha emanato un mandato di arresto per Al-Masri, accusato di crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani, ma è anche vero che prima che giungesse in Italia ha vagato per almeno dieci giorni in Europa, e l’organo di pseudo giustizia internazionale non aveva emanato nessun mandato verso il capo delle carceri della Tripolitania.
Al-Masri è a capo della branca di Tripoli dell’Istituto per la riforma e la riabilitazione, una famigerata rete di centri di detenzione gestiti dalle Forze di Difesa Speciali sotto il controllo del Governo tripolino guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, primo ministro, posizionato in questa carica dall’Occidente e sostenuto da molti Paesi europei. Quindi il governo filooccidentale di Tripoli è il garante del funzionamento del sistema carcerario della Tripolitania, perciò dell’operato di Al-Masri.
Le testimonianze proliferate sulla questione “Al-Masri-Governo italiano”, si dipanano sulle note vicende che vedono le vedette tripoline prendere i migranti dalle coste e tradurli in prigione, oppure intercettare i migranti transahariani e condurli in strutture posizionate fuori da Tripoli dove avviano il mercanteggiamento di esseri umani. Ma come sono fatti questi centri di segregazione? Non sono carceri, ma enormi capannoni sovraffollati, dei forni nei periodi caldi, dislocati in diversi punti di Tripoli e del resto della Tripolitania, dove vengono stipati migliaia di uomini, donne e bambini provenienti principalmente dall’Africa occidentale, ma anche da Sudan, Etiopia, Eritrea, Siria, Palestina. Presenti anche molti bambini e minori non accompagnati, vi sono anche neonati partoriti in questi centri. Quindi si concretizza il sistema di torture organizzate prevalentemente a scopo di estorsione verso le famiglie di provenienza dei migranti.
Il mercato, gestito da una serie di personaggi caratterizzati da una “crudeltà professionale”, prevede anche la commercializzazione di giovani donne, ma anche di adolescenti e uomini giovani, che nel di tritacarne dei migranti sahariani e subsahariani, vede riemergere “l’asta” dove i nuovi schiavisti computano, come secoli addietro, la donna per le sue sinuosità e bellezza, gli adolescenti per la loro giovane età e gli uomini per la loro robustezza. L’asta prevede ovviamente la vendita molto spesso a commercianti che rivendono soprattutto le ragazze anche nei Paesi della Penisola araba, magari anche come concubine. Insomma, attingendo ai ricordi di studi storici che trattano dello schiavismo, la contemporaneità dei fatti poco si distacca. Tutto questo sistema è capillarmente organizzato, e crea un notevole giro di affari dove personaggi come Al-Masri si confondono nella pletora di affaristi, torturatori, cinici personaggi che probabilmente superano ogni limite dell’aberrazione umana. Le torture e ogni tipo di violenza si manifestano anche verso i dissidenti politici come accade anche a Bengasi in Cirenaica, dove Al-Masri è probabilmente semisconosciuto.
Ma quanti Al-Masri vagano liberi un po’ ovunque? E perché accanirsi verso una scelta di governo che poteva essere tenuta anche nel sacco strapieno dei “segreti di Stato”, invece di permettere la trasparenza su un rimpatrio, che se non effettuato avrebbe creato polemiche simili e dato origine a inutili tensioni? Visto anche che il vicino governo tripolino ha mantenuto nel suo rango il Generale in questione. Probabilmente, come capita sovente, l’aspetto speculativo sovrasta quello operativo, a dimostrazione soprattutto del discutibile funzionamento della Corte dell’Aja. Ricordo che anche Benjamin Netanyahu, il 21 novembre 2024 (insieme a all’ex ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e al capo del braccio armato di Hamas Mohammad Deif) e Vladimir Putin, 17 marzo 2023, hanno ricevuto un mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte dell’Aja, e che il presidente israeliano è stato il primo capo di Stato ad essere accolto ufficialmente da Donald Trump e che Putin è un personaggio con cui mezzo mondo tratta e l’altra metà non vede l’ora di trattare.
Quindi, strumentalizzazione di azioni governative, ma anche azioni dettate dalla scarsa conoscenza di certe realtà, come quella del contesto libico, che ritengo per trattarle occorre una seria consapevolezza e non banale speculazione politica. Soprattutto per i ben pagati della Corte penale internazionale che potrebbero dare un tono di credibilità a un’organizzazione apparentemente troppo vicina a definiti margini politici. Ora la questione è nelle mani di Tripoli che dovrebbe consegnare Njeem alla Cpi, poiché la Corte, dal 15 febbraio 2011, ha giurisdizione sui crimini commessi nel Paese. Adesso le autorità “libiche” potrebbero rispettare gli obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare il loro impegno a cooperare con la Cpi come delineato nella risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Ma la risoluzione citava la Libia, non la Tripolitania, e tanto potrebbe bastare per seppellire nell’oblio i rapporti con la Corte dell’Aja.
Aggiornato il 06 febbraio 2025 alle ore 09:53