Un piano per far uscire i palestinesi da Gaza

Il coraggioso piano di Donald Trump ha fatto breccia nei cuori israeliani. All’indomani della suggestione del tycoon di una forte presenza degli Stati Uniti nella Striscia di Gaza, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha incaricato le Forze di difesa israeliane (Idf) di elaborare un piano che consenta agli abitanti dell’area occupata di lasciare volontariamente l’enclave. Lo ha reso noto l’ufficio del ministro, secondo quanto riportato dal Times of Israel. Il titolare del dicastero ha sottolineato, in un dialogo con il giornale, che come in tutti gli altri Paesi del mondo anche i residenti di Gaza dovrebbero poter emigrare e muoversi liberamente. Katz ha inoltre ribadito che tale misura potrebbe accelerare il processo di ricostruzione della Striscia, immaginando un futuro in cui Gaza sia smilitarizzata e non rappresenti più una minaccia dopo la fine del regime di Hamas, un obiettivo che, ha ammesso, richiederà molti anni.

È dal 2006 infatti che a Gaza non si svolgono elezioni. Per via della guerra, sono state annullate tutte le ultime tornate elettorali e, durante questo tempo, quello che è stato un voto di protesta verso Hamas – e contro Fatah – ora è diventato il più grande rimpianto della popolazione palestinese. In quest’ottica, il piano proposto prevede che i cittadini che desiderano lasciare la Striscia possano trasferirsi in Paesi disposti ad accoglierli. Il ministro ha citato, tra gli altri, Spagna, Irlanda, Norvegia e Canada, sottolineando che Nazioni che in passato hanno criticato Israele per la guerra a Gaza dovrebbero ora dimostrare coerenza accettando i rifugiati palestinesi. “Se rifiuteranno, la loro ipocrisia sarà evidente”, ha dichiarato Katz.

USA: NIENTE SOLDATI NELLA STRISCIA

L’amministrazione Trump ha inoltre escluso l’invio di truppe statunitensi sul terreno a Gaza come parte del piano di ricostruzione dell’enclave palestinese. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha chiarito che il coinvolgimento americano avverrà senza un dispiegamento militare, precisando che il presidente ritiene fondamentale il contributo degli Stati Uniti per garantire la stabilità della regione. “Ciò non significa boots on the ground a Gaza”, ha ribadito ai giornalisti. Leavitt ha inoltre specificato che l’eventuale trasferimento dei palestinesi fuori dalla Striscia sarebbe temporaneo e non prevederebbe un reinsediamento permanente in Paesi a maggioranza araba, come l’Egitto. Ha anche escluso che la ricostruzione di Gaza venga finanziata dai contribuenti americani. “Il presidente è stato molto chiaro: gli Stati Uniti devono essere coinvolti nella ricostruzione per stabilizzare l’area, ma ciò non comporta un esborso diretto di fondi pubblici né la presenza di truppe sul campo”, ha dichiarato la portavoce.

Leavitt ha infine sottolineato l’importanza del contributo dei partner regionali, citando in particolare l’Egitto e la Giordania, che dovrebbero accogliere temporaneamente i rifugiati palestinesi per permettere la ricostruzione della Striscia. “Attualmente Gaza è un sito di demolizione, non è un luogo vivibile per alcun essere umano”, ha affermato. Alla domanda se il dispiegamento di truppe statunitensi a Gaza sia da considerarsi definitivamente escluso, Leavitt ha precisato che il presidente “non ha ancora preso alcun impegno in tal senso”. Anche il segretario di Stato Marco Rubio ha ribadito che l’iniziativa di Trump non è ostile, ma intesa come un’offerta generosa per sostenere la ricostruzione. “Il presidente vuole garantire che case e imprese possano essere ricostruite, affinché le persone possano tornare a vivere con dignità”, ha dichiarato Rubio durante una visita in Guatemala.

Aggiornato il 06 febbraio 2025 alle ore 10:56