Israele ha alzato il tiro in Siria, con circa 250 attacchi mirati dall’ascesa dei ribelli a Damasco e la caduta del regime di Bashar al-Assad. L’obiettivo è chiaro: mettere fuori gioco i vecchi arsenali del regime prima che finiscano nelle mani sbagliate. A dirlo è l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh), che ha tracciato un bilancio delle operazioni. Si parla di raid su aeroporti, radar, depositi di armi, centri di ricerca e perfino navi della marina siriana. Uno degli ultimi obiettivi colpiti sarebbe stato un sito di difesa aerea vicino al porto strategico di Latakia. Ma non è finita qui: all’alba di oggi, la capitale Damasco è stata scossa da una serie di esplosioni così forti che il fumo si è alzato a vista d’occhio sopra il centro città. Le immagini diffuse dall’Afp parlano chiaro. Israele per ora non ha ancora rivendicato nulla, ma l’intento dei raid è stato confermato lunedì dal ministro degli Esteri Gideon Saar: “Abbiamo distrutto armi chimiche e sistemi strategici per evitare che finiscano nelle mani di estremisti”. Nel frattempo, gli Stati Uniti auspicano una de-escalation e che l’operazione dello Stato ebraico sia breve e mirata.
Le incursioni hanno preso di mira anche la zona cuscinetto delle alture del Golan, occupate e annesse da Israele. Intanto, a Damasco, le autorità locali hanno dichiarato di aver domato un incendio scoppiato in un centro di ricerca dopo un bombardamento. Nessun segnale di “fumi tossici insoliti” né casi di soffocamento, contrariamente alle voci impazzite sui social network. Sul fronte opposto, però, la tensione resta alle stelle. Il carcere di Saydnaya, conquistato dai ribelli, è diventato il simbolo delle atrocità dell’ex regime. Davanti all’edificio, migliaia di familiari aspettano notizie dei propri cari, mentre i ribelli affermano di aver trovato decine di vittime con evidenti segni di tortura.
A prendere la situazione in mano ci ha pensato Abu Mohammad al-Jolani, leader dei ribelli, che ha annunciato su Telegram una “lista nera” dei responsabili dei crimini. “Li consegneremo alla giustizia, ovunque si trovino. Non ci saranno sconti”, ha promesso, offrendo anche ricompense per chi aiuterà a catturare gli ex funzionari del regime. Non mancano però aperture. Il capo della nuova governance siriana ha parlato di un’amnistia per i membri di basso rango dell’esercito e delle forze di sicurezza, a patto che le loro mani siano pulite dal sangue del popolo siriano.
Intanto, diverse fonti libanesi indicano che alcuni ex dignitari del regime di Assad si sarebbero rifugiati a Beirut sotto la protezione di Hezbollah. Un’altra tessera di un mosaico esplosivo, dove ogni mossa rischia di far saltare il banco.
INIZIA LO STOP ALL’ASILO PER I SIRIANI
Nel frattempo, la premier Giorgia Meloni ha convocato ministri e vertici dell’intelligence per affrontare l’emergenza in Siria. “Con i combattimenti che non si fermano in alcune aree, la priorità resta la tutela dei civili e una transizione pacifica e inclusiva,” si legge nella nota di Palazzo Chigi. Tra l’altro, l’Italia ha deciso di sospendere le richieste di asilo, seguendo l’esempio di Germania, Austria e Belgio, presto imitati da Paesi scandinavi, Francia, Regno Unito e Svizzera. Anche l’Olanda sembra pronta a fare lo stesso. Intanto, l’Unhcr invita alla calma: “Serviranno tempo e vigilanza per garantire ritorni sicuri e sostenibili”.
Aggiornato il 11 dicembre 2024 alle ore 10:07