L’Iran pronto ad attaccare Israele

Chiedono vendetta. Nel corso dei cortei funebri per il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, alcuni esponenti politici della Repubblica Islamica hanno urlato gli appelli contro Israele. Lo Stato ebraico è ritenuto responsabile dell’attacco missilistico che ha ucciso Haniyeh. Il leader supremo ayatollah, Ali Khamenei, ha pregato per Haniyeh dopo aver minacciato una “dura punizione”. Presente alle esequie il presidente Masoud Pezeshkian e il capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, generale Hossein Salami. Khalil al-Hayya, capo delle relazioni estere del movimento, ha promesso durante la cerimonia funebre che “lo slogan di Ismail Haniyeh, ‘Non riconosceremo Israele’, rimarrà uno slogan immortale” e che “perseguiremo Israele finché non sarà sradicato dalla terra di Palestina”. Il portavoce parlamentare conservatore iraniano Mohammad Bagher Ghalibaf ha detto che l’Iran “eseguirà sicuramente l’ordine del leader supremo di vendicare Haniyeh: è nostro dovere rispondere al momento giusto e nel posto giusto”, ha detto in un discorso davanti alla folla che cantava: “Morte a Israele, Morte all’America!”. Khamenei, che ha l’ultima parola negli affari politici dell’Iran, ha detto: “È nostro dovere cercare la vendetta”. Intanto, l’Iran ha annunciato la chiusura del proprio spazio aereo fino alle 5 ora italiana, secondo fonti citate da media israeliani. Allo stesso tempo, due compagnie aeree statunitensi hanno cancellato i voli per Israele. La United Airlines, che aveva sospeso i voli in ottobre dopo l’attacco di Hamas a Israele e li aveva ripristinati solo a giugno, ha dichiarato che sospenderà nuovamente i voli per ragioni di sicurezza, secondo una dichiarazione citata da Cbs News.

“A partire dal volo di questa sera da Newark Liberty a Tel Aviv, sospenderemo per motivi di sicurezza il nostro servizio quotidiano a Tel Aviv mentre valutiamo i prossimi passi. Continuiamo a monitorare da vicino la situazione e prenderemo decisioni sulla ripresa del servizio concentrandoci sulla sicurezza dei nostri clienti e degli equipaggi”, afferma la compagnia aerea. Anche Delta Airlines ha dichiarato che sospenderà i voli fino al 2 agosto “a causa del conflitto in corso nella regione”. Analisti militari riferiscono che Teheran avrebbe inoltre informato in queste ore Qatar e Arabia Saudita della sua intenzione di effettuare un attacco contro Israele, chiedendo a Doha e Riad di non consentire l’utilizzo del loro spazio aereo allo Stato ebraico. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno mobilitato nell’area mediorientale 12 navi da guerra, nel contesto dell’aumento della tensione tra Israele, Libano, e Iran, ha riferito il Washington Post citando una fonte del Pentagono. Le navi – tra cui la portaerei Uss Theodore Roosevelt – già si trovavano nel Golfo Persico, nel Mediterraneo Orientale e nel Mar Rosso. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha invitato “tutte le parti” in Medio Oriente a “fermare le azioni di escalation”. Il raggiungimento della pace “inizia con un cessate il fuoco, e per arrivarci è necessario che tutte le parti parlino (e) smettano di intraprendere azioni di escalation”, ha detto Blinken ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa in Mongolia.

Nel giro di sette ore intelligence ed esercito israeliani hanno messo a segno gli omicidi del capo militare di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut e del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran. Il missile che ha ucciso il capo della fazione palestinese è arrivato alle due di notte, colpendolo “direttamente”. Le finestre, le porte e le pareti della sua stanza dell’appartamento segreto che gli avevano messo a disposizione i Pasdaran nel cuore della capitale iraniana sono state completamente distrutte. A darne notizia mentre era ancora buio è stata proprio Hamas. I media israeliani hanno subito pubblicato fatti e foto, ma nessuna rivendicazione ufficiale è arrivata. Neppure in serata, quando il premier Benyamin Netanyahu ha parlato alla nazione mostrandosi più fermo che nei giorni precedenti, consapevole di aver ottenuto risultati che gli danno almeno al momento certezza di sopravvivenza politica. Neppure una parola esplicita su Haniyeh, ma un’affermazione lampante: “Abbiamo inferto colpi devastanti a tutti i nostri nemici”. Poi un avvertimento di non poco conto: “La guerra richiede tempo”. Israele è in “una guerra esistenziale” contro l’Iran e il suo asse e “giorni difficili” sono in arrivo. Lo ha detto Netanyahu in un discorso televisivo dal quartier generale dell’Idf, dopo una riunione del gabinetto di sicurezza. Netanyahu ha detto che “dopo l’attacco a Beirut, le minacce risuonano da ogni dove”. “Siamo pronti per ogni scenario”, promette, “e resteremo uniti e determinati”. In pratica, la fine delle ostilità nella Striscia e con gli altri nemici non è alle porte.

La svolta di Bibi adesso impone nuove decisioni. I primi a doverle prendere siedono nei palazzi del potere di Teheran, dove lo shock iniziale per l’eliminazione dell’amico Haniyeh – ospite nella capitale per l’insediamento martedì del nuovo presidente Massoud Pezeshkian – dovrà essere superato in fretta per lasciare spazio ad una risposta. Secondo il New York Times, che cita tre funzionari iraniani, l’ayatollah Ali Khamanei avrebbe ordinato di colpire direttamente Israele. Ma se la sentirà la Repubblica islamica di andare allo scontro diretto con il nemico numero uno, come blandamente ha già fatto nei mesi scorsi? Oppure sceglierà di far decantare gli animi prevedendo una rappresaglia diluita nel tempo e forse ancor più pericolosa? Il Consiglio supremo di sicurezza si è riunito poche ore dopo la notizia della morte di Haniyeh. Un freno per l’Iran c’è, ed è la considerazione di essere più vicini che mai alla capacità nucleare, oggetto di deterrenza senza pari. Un’opportunità che potrebbe subire danni irreparabili se Teheran si lasciasse andare a reazioni non ben ponderate. Una fiammata totale tra Iran, Hezbollah e Israele avrebbe conseguenze incalcolabili. Le dichiarazioni ufficiali comunque sono state durissime. “La Repubblica islamica difenderà il suo onore e farà pentire gli invasori terroristi della loro azione codarda”, ha tuonato il presidente Pezeshkian. Mentre per il leader supremo Khamenei “il regime sionista affronterà una dura punizione per l’assassinio di Haniyeh”.

Con la morte di Haniyeh sono tre le personalità che si affacciano sulla scena per prendere il suo posto, anche se non è dato sapere in che tempi: Khalil al-Hayya, Moussa Abu Marzouk e Khaled Meshal. Il primo, nato nel 1960 a Gaza, è membro del Politburo di Hamas e vice capo del politburo regionale di Hamas nel territorio plaestinese dal 2017. Ha guidato la lista del gruppo “Gerusalemme è la nostra promessa” che avrebbe dovuto partecipare alle elezioni legislative annullate del maggio 2021. Al-Hayya ha ricoperto diversi incarichi nei sindacati degli studenti e dei lavoratori ed è stato eletto al Consiglio legislativo palestinese (Plc) nel 2006. Ha svolto un ruolo chiave nella negoziazione di un cessate il fuoco con Israele durante la guerra di Gaza del 2014. Diversi membri della sua famiglia sono stati uccisi da Israele, tra cui sua moglie e tre figli durante un tentativo di eliminarlo nel 2007. Moussa Abu Marzouk, nato nel 1951 nella città di confine di Rafah a Gaza, ha contribuito a fondare Hamas nel 1987 ed è membro del suo Politburo. È anche il vice capo del politburo “esterno” del gruppo e una figura di spicco nei colloqui di riconciliazione con Fatah. Marzouk ha iniziato la sua carriera politica negli Emirati Arabi Uniti, dove ha contribuito a fondare una branca della Fratellanza Musulmana palestinese. C’è anche un terzo nome, quello di Khaled Meshal, il “martire vivente”, che ha sempre ambito a essere una sorta di “Arafat islamista”. Nonostante abbia annunciato più volte il proprio ritiro dalla scena politica, rimane uno dei membri fondatori di Hamas ed è sempre stato una figura attiva al fianco di Haniyeh, che ha accompagnato sia nell’incontro di Istanbul dello scorso aprile con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, sia nei negoziati per un cessate il fuoco. Meshal, esattamente come Haniyeh, vive da anni in esilio e il fatto di non essere confinato a Gaza gli permetterebbe di continuare a intrattenere rapporti e relazioni con gli Stati amici, un lavoro che ha continuato a svolgere all’ombra di Haniyeh negli ultimi anni. Nato in Cisgiordania, ma cresciuto in Giordania dove la sua famiglia si era spostata in seguito alla Guerra dei sei giorni, Meshal si è poi trasferito.

Aggiornato il 01 agosto 2024 alle ore 16:29