Il 20 giugno a Washington si è svolto un incontro della Commissione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Commissione di Helsinki), dove è stata affrontata la questione della crescita delle leggi sull’agente straniero. La Commissione, agenzia governativa statunitense che si occupa e sostiene i diritti umani, sta concentrando le sue attenzioni su quanto sta accadendo in Russia e in altri Paesi, dove si sta legiferando in senso restrittivo sul concetto di “agente straniero”. Il testo iniziale di tale legge, adottato dalla Duma nel 2012, fa riferimento alla percentuale di finanziamenti che le organizzazioni straniere presenti in Russia ricevono dal proprio Paese. Quindi, su tale principio, gli operatori stranieri di Ong o di società, ma anche i singoli soggetti, devono registrarsi al momento dell’ingresso in Russia, come “agente straniero”. Infatti, Ong e singoli individui che operano o chiedono di operare in vari settori, sia in Russia che in altre nazioni collegate, vengono etichettati con tale marchio. Una identificazione che crea un sistema di controlli e divieti che, di fatto, impediscono ogni libertà di agire. Inoltre, dal punto di vista ideologico, questi operatori sono accusati di promuovere i “valori stranieri”, perché ritenuti sponsorizzati dagli Stati Uniti e dall’Europa.
Quindi, lo scopo di queste leggi è quello di creare uno strumento autoritario per reprimere la società civile. Tale legge, voluta da Vladimir Putin già una dozzina di anni fa, si sta diffondendo velocemente anche ad altri Paesi, che chiaramente hanno delle affinità con questa visione sugli stranieri presenti e operanti nella propria nazione, nel quadro più ampio di un analogo pensiero politico e geopolitico. Così, questa direttiva, in vigore in Russia, è stata approvata – o è in fase di approvazione – in Georgia, Kirghizistan, Abkhazia, Ungheria e Slovacchia. Il 3 giugno in Georgia, nonostante una vigorosa protesta popolare, è stata promulgata la legge sull’agente straniero, che ha aperto di fatto una sorta di caccia ai forestieri. In pratica, questa normativa obbliga qualsiasi organizzazione, che riceve più del venti per cento dei suoi finanziamenti dall’estero, a registrarsi come soggetto che “persegue gli interessi di una potenza straniera”. La dottrina governativa di questa ex Repubblica sovietica del Caucaso ha voluto “somministrare” alla società georgiana tale legge come fattore di trasparenza. Ma, chiaramente, l’obiettivo è quello di soffocare i media indipendenti e frenare ogni espressione contraria all’establishment. Il caso georgiano apre una serie di riflessioni sul ruolo internazionale che sta assumendo il Paese; una legislazione emblematica dalle caratteristiche autoritarie, che denota un preoccupante cambiamento del posizionamento geopolitico della Georgia.
Ricordo che dal 2003 la Georgia si è avvicinata all’Occidente. L’Unione europea nel dicembre dello stesso anno ha concesso alla Georgia lo status di candidato ufficiale all’ingresso. E ora ha chiesto a Tbilisi di abrogare tale normativa. Infatti, proprio durante il vertice europeo di Bruxelles del 27 e 28 giugno, i ventisette Stati membri hanno rilevato la gravità di tale norma, affermando che il Paese caucasico ha fatto un passo indietro che conduce verso uno stop del processo di adesione. Il segnale è che la Georgia si stia allontanando dall’Europa con un avvicinamento alla Russia, nonostante quest’ultima, dopo la guerra russo-georgiana del 2008 (Ossezia del Sud), abbia occupato circa il venti per cento del territorio georgiano. Pertanto, anche un’altra ex Repubblica sovietica, il Kirghizistan, come i separatisti filo-russi di Abkhazia, hanno approvato leggi sugli agenti stranieri. Leggi simili sono in approvazione in Ungheria e Slovacchia. Tra l’altro, in Bosnia-Erzegovina – nell’entità separatista serba filo-russa della Repubblica serba – e in Serbia sono state proposte leggi che si basano sugli stessi principi, indicando tuttavia più ampie prospettive geostrategiche.
A oggi, il tradimento più pesante è quello della Georgia, che dal 2004 riceve diversi miliardi di dollari dagli Stati Uniti e dall’Europa, ancora oggi i principali donatori del Paese. Tali esborsi dovevano spingere il Paese verso la transizione democratica, ma anche a legare la Georgia all’Occidente. Di contro, con l’adozione di questa legge, approvata nonostante il veto del presidente Salomé Zourabichvili, revocato in Parlamento dal partito al Governo, Sogno georgiano, con 84 voti favorevoli e 4 contrari, e con l’appoggio dell’uomo forte del Paese, il miliardario Bidzina Ivanishvili, arricchitosi in Russia, la Georgia piega radicalmente il suo orientamento geopolitico dall’Europa verso Putin. Il Governo georgiano, fautore della legge, accusa l’Occidente e i partiti di opposizione di voler trascinare il Paese nella guerra in Ucraina, rivolgendosi anche alla Cina, con la quale ha immediatamente liberalizzato i visti, demarcando una distanza siderale dalla società georgiana che per oltre l’ottanta per cento è filoeuropea.
In realtà, tutta la questione dell’agente straniero si incardina nel disegno imperiale russo. Mosca sta facendo promuovere dagli Stati affini queste leggi, utilizzando attori politicamente allineati e alcuni nostalgici del sovietismo, ma contemporaneamente punta a indebolire la società civile, il sostegno ai movimenti democratici e a ridurre l’influenza occidentale in queste regioni. In pratica, la strategia di Mosca è quella di condurre una guerra articolata, cercando sia di allontanare questi Paesi dall’Occidente, sia di riportarli sotto il “mantello imperiale” costruito sul sovietismo zarista, ma anche di avvicinare le nazioni affini alla Cina. Una chiara offensiva geostrategica che, indubbiamente, allontana gli orizzonti di una pseudo-pace, disegnando un’altra insidiosa linea del fronte russo-ucraino.
Aggiornato il 10 luglio 2024 alle ore 11:21