Che ci fa Rosatom, la corazzata del nucleare civile della Federazione Russa, in Bangladesh e nel Global South? La strategia di Mosca, al momento, appare una fotocopia in versione nucleare della Road and Belt Initiative (R&B) di Pechino, in cui è lo Stato russo a finanziare e realizzare megaprogetti di impianti nucleari civili per migliaia di megawatt nei Paesi emergenti. Tecnicamente, una centrale di media grandezza ha un ciclo di un centinaio di anni di vita, che ha inizio con la progettazione e realizzazione dell’impianto (la cui durata in funzionamento è all’incirca di 50 anni) e termina con un periodo di venti anni tra cessazione delle attività, definitivo smaltimento delle scorie e bonifica del sito. Da qui si capisce come la sola presenza a lungo termine di decine di migliaia di addetti russi alla centrale e delle loro famiglie generi una sorta di “enclave” russa, con una sua lingua e un’economia specifica. Per di più, spesso il Paese beneficiario si trova nella condizione di non poter restituire i prestiti ricevuti dallo Stato russo per il finanziamento dell’intera opera (pari ad alcune decine miliardi di dollari), anche se concessi nel medio-lungo periodo a tassi molto bassi, non superiori al 2 per cento annuo. Morale: a copertura del debito, la Russia riceve come compensazione (proprio come accade con la R&B) dallo Stato debitore concessioni minerarie, e/o il comodato d’uso di importanti infrastrutture portuali e/o terrestri. Insomma, una diversa forma di imperialismo coloniale, sotto le mentite spoglie di un aiuto allo sviluppo dei Paesi emergenti. Vediamo con un esempio concreto. Il costo stimato per il primo impianto nucleare russo in Bangladesh è di 12 miliardi di dollari, e il beneficio atteso a regime è la copertura di non meno del 10 per cento del fabbisogno totale di elettricità di quel Paese, da realizzare in meno di dieci anni.
I primi test di avvio dell’impianto di 2.400 megawatt di Rooppur nella punta Ovest del Bangladesh dovrebbero iniziare già da quest’anno. La centrale è oggetto di grandi aspettative da parte di cittadinanza e imprese, che soffrono dei ripetuti blackout, responsabili di rallentare la crescita economica del Paese (superiore al 6 per cento annuo, sostenuta in particolare dalle esportazioni del settore tessile), e di tenere al buio per molte ore interi quartieri sovraffollati delle grandi città. I vantaggi geopolitici per Mosca di questa strategia dell’esportazione del nucleare civile russo (all’avanguardia nel mondo), e che potremmo definire N&R (Nuclear & Road Initiative), è chiara ed esemplare, soprattutto nel caso di Dacca. Il progetto in esame, come altri similari in diverse aree del mondo, ha lo scopo di tenere strettamente unite per decenni le sorti dei due Paesi contraenti, collocando saldamente il Bangladesh nella sfera d’influenza del Cremlino. Così com’è già più volte accaduto nel caso di altre nazioni, che non erano in grado di provvedere autonomamente allo sviluppo del proprio nucleare civile. Del resto, finita per la Russia la Via della Seta siberiana dell’export verso l’Europa delle sue immense risorse di gas e petrolio, a causa della guerra in Ucraina e del sabotaggio del gasdotto Stream-2 che arriva in Germania, a essere rimasto indenne dal ventaglio molto ampio di sanzioni occidentale è proprio il settore dell’energia nucleare.
Così la Russia ha mantenuto ben saldo il suo primato di primo esportatore al mondo di impianti nucleari civili, superiore alla somma delle aliquote detenute dagli altri grandi player mondiali, Cina, Francia, Giappone, Sud Corea e Usa, che assieme coprono il 40 per cento dei nuovi impianti in costruzione nel mondo, contro il 30 per cento della sola Russia, presente con le sue centrali in costruzione in Cina, India, Iran ed Egitto. A preoccuparsi di questa posizione dominante dei russi è proprio l’Amministrazione Usa. Tanto è vero che Joe Biden ha di recente firmato un provvedimento di legge bipartisan per la messa al bando degli acquisti da parte di aziende pubbliche e private americane di uranio arricchito russo, che costituisce ben il 25 per cento delle importazioni totali Usa. Identica iniziativa era stata assunta in precedenza dal gruppo “Sapporo 5” (alleanza nucleare collaterale al G7, di cui fanno parte, oltre agli Usa, Regno Unito, Giappone, Canada e Francia), per mettere definitivamente fuori gioco il regime putiniano dal mercato nucleare mondiale. Il che, però, non ha molto senso, dato che non aderiscono all’embargo i due più grandi Paesi e maggiori consumatori di nucleare civile del mondo, come India e Cina.
Sempre tenendo ben presenti le questioni geostrategiche, in Turchia (Paese fondamentale per l’accesso alle acque chiuse del Mar Nero), la Russia sta costruendo la prima mega centrale turca per la produzione di energia elettrica di 4.800 megawatt nel sito di Akkuyu, che dovrebbe entrare in funzione entro l’anno. Sotto il profilo strategico (proprio per indurre una dipendenza politico-funzionale dalla sua tecnologia nucleare avanzata), Mosca tende a imporre centrali “chiavi in mano”, in cui Rosatom è il vero dominus, incaricato di fornire l’occorrente per tutta la durata in vita dell’impianto, compreso lo staff tecnico. L’unico ruolo che svolge il Paese ospitante, fruitore della centrale, è di acquistare l’energia elettrica prodotta dal reattore. Come per il Bangladesh, così per la Turchia questi “legami nucleari” sono destinati a durare sul lunghissimo periodo, separando sempre più, oltretutto, la Russia dai destini dell’Europa, dato che, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, la Finlandia ha annullato l’ultimo contratto europeo con Rosatom, riguardante la costruzione di una centrale di 1.200 megawatt a Hanhikivi, che sarebbe dovuta entrare in funzione nel 2023.
In senso lato, il mercenario Rosatom tende a svolgere un ruolo simile alla Wagner, per l’offensiva di charme da parte russa nei confronti del Global South. Lo stanno a dimostrare le dozzine di dichiarazioni di intenti, che Rosatom ha firmato con altrettanti Stati sudamericani e africani (tra cui si citano Zimbabwe, Mali, Burkina Faso e Brasile). Sul piano del nucleare avanzato e sicuro (i così detti Smr, piccoli reattori nucleari a elevata sicurezza e alta efficienza, che utilizzano un particolare carburante di uranio) è stato firmato un accordo tra Russia e Uzbekistan per la realizzazione di un reattore Smr di 330 megawatt. Ma Rosatom è un conglomerato gigante di attività diversificate, che esporta know-how biomedicale (costruzione di infrastrutture mediche) e sottoscrive contratti vantaggiosi (come con la Bolivia) per l’estrazione del litio in cambio dei suoi servizi. Ma c’è chi, anche qui da noi, non ha mai smesso di fare affari con Rosatom, come l’Ungheria che gli ha affidato senza gara la costruzione di un nuovo impianto da 2.400 megawatt, mentre tutti gli altri, che utilizzano tecnologia nucleare sovietica, coprono per il 40 per cento la fornitura nazionale di elettricità. E, allora si capisce il netto rifiuto di Viktor Orbán ad aderire a qualunque tipo di sanzioni contro il nucleare russo! “It’s the Geostrategy, Stupid!”.
Aggiornato il 27 giugno 2024 alle ore 10:18