La fine del dialogo Est-Ovest

A distanza di quasi 3 anni − o meglio 10 − dall’inizio del conflitto ci sembra che si possano trarre queste (amare) conclusioni: fino al 2014 la Russia sembrava aver accettato − quasi fosse un processo naturale e ineluttabile − di dover entrare nella sfera di influenza euroatlantica. Parliamo di un’epoca in cui la Russia stessa era assai più vicina all’ingresso nella Nato di quanto non lo fosse l’Ucraina più tardi.

D’altra parte, la Russia era stata negli ultimi decenni più occupata a ricostruire l’economia, dopo la dissoluzione sovietica, che a preservare lo status di potenza militare. Agli occhi della leadership russa non veniva compreso − come avrebbe dichiarato lo stesso Michail Gorbačëv e poi Vladimir Putin − perché durante gli anni della distensione est-ovest fosse necessario aggregare all’alleanza tanti Stati ex satelliti dell’Urss: da chi si doveva difendere il blocco atlantico, mentre flirtava con la Russia, promettendo una nuova epoca di sicurezza e stabilità, attraverso la Partnership for Peace?

L’allargamento della Nato non è mai stato un processo negoziato o condiviso, ma solo subìto da Mosca. Nel suo ambito il rapporto non è mai stato paritario, come dimostrato in occasione dei bombardamenti alleati sulla Serbia, durante il conflitto balcanico, quando Mosca non venne neppure interpellata.

L’unipolarismo americano, e l’espansionismo della Nato verso Est − nonostante le promesse di contenimento fatte da Washington (come denunciato più tardi da Gorbačëv − alla fine spingevano la Russia di fronte a due scelte: abdicare al proprio ruolo di − seppure declinante − superpotenza globale o fermare la deriva. La Russia che emerge da questo decennale confronto non è né un Paese fallito (come la propaganda dei nostri Media voleva farci credere) né una nazione indebolita e divisa.

L’aggressività delle amministrazioni dem americane, restie ad accettare la realtà di un mondo, ormai orientato al multipolarismo, ha prodotto il risultato opposto. Ha esposto la debolezza della Nato e l’irrilevanza geopolitica dell’Europa. Ha fatto emergere un nuovo asse tra paesi, un tempo, non allineati. Al contrario ha ridato alla Russia orgoglio e unità. Barack Obama e Joe Biden hanno trascinato l’Europa e il mondo in un conflitto che ha fatto risorgere dal declino un paese che, oggi, è autosufficiente dal punto di vista economico e una rinvigorita e risoluta superpotenza militare. Una nazione che ha smesso di guardare a Ovest ed è ora costretta a cercare il soffocante abbraccio di Pechino o l’alleanza con quelli che, una volta, venivano chiamati “Stati canaglia”. Una Russia che, chi ci comanda da oltreatlantico, ha ormai designato − anche se ancora non formalmente − come nostro principale e comune nemico. La sola speranza di far tacere le armi e riaprire il dialogo Est-Ovest, nel Vecchio Continente, è riposta nella prospettiva dell’elezione di Donald Trump a novembre.

Aggiornato il 26 giugno 2024 alle ore 14:24