L’oro (radioattivo) di Mosca: spezzare il monopolio

In che cosa consiste oggi “l’oro di Mosca”? Il suo significato è contenuto nella magica sigla (una sorta di cabala atomica) “Rosatom”, l’ente nucleare di Stato russo che vende in tutto il mondo uranio grezzo e i connessi servizi di assistenza per un centinaio di impianti nucleari civili, realizzati con la sua consulenza tecno-scientifica e cofinanziati da capitali russi. Ed è proprio questo monopolio mondiale del nucleare civile russo a costituire la più formidabile arma di ricatto nelle mani di Mosca, al momento in cui occorre progressivamente abbandonare le energie fossili. L’utilizzo del nucleare, però, pur essendo quest’ultimo a zero emissioni di Co2, è ritenuto non sicuro e molto più costoso delle energie rinnovabili dall’Orda green che monopolizza l’ideologia verde dell’Unione europea e, in parte, degli Stati Uniti. Per cui, i folli burocrati e il Parlamento di Bruxelles, a rimorchio di Greta Thunberg, hanno scelto politicamente di sussidiare con molti miliardi di euro sia la realizzazione di gigantesche pale eoliche e mulini del vento, che offendono il paesaggio e producono energia zero in caso di caduta della spinta eolica, sia le batterie solari. Malgrado che queste ultime, come è ben noto, divorino milioni di ettari di terreno agricolo, rafforzando per di più (a questo punto con lucida follia suicida per l’avvenire dell’Europa) il monopolio cinese in materia di terre rare e di componentistica elettronica, batterie delle auto comprese.

Ma, forse, pochi sanno che l’Occidente, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, non ha messo al bando proprio “tutti” i rifornimenti energetici provenienti dalla Russia, oltre a quelli di gas e petrolio. A parte il fatto che nemmeno in questo caso l’embargo energetico ha funzionato dato che, com’è noto, il Global South, con Cina e India in testa a tutti, è stato ben felice di assorbire tutta la produzione eccedente di gas e petrolio russi in precedenza destinata all’Occidente. E ciò che è rimasto fuori dall’embargo è nientedimeno che il materiale di uranio grezzo ed arricchito, congiuntamente ai connessi servizi tecnici, forniti entrambi al resto del mondo dall’impresa di stato russa Rosatom e dalla sua sussidiaria Tenex. Per capire in quale ginepraio di vulnerabilità l’Occidente si sia messo da solo, basterà dire che a oggi l’uranio russo serve da combustibile per non meno di un quinto del fabbisogno totale delle flotte nucleari americane ed europee. Sicché, senza quelle forniture addio battaglie navali con i rivali cinesi! Del resto, la guerra condotta dalla Russia in Ucraina ha coinciso con un picco della domanda energetica per il combustibile nucleare, in alternativa a quello fossile, provocando la vertiginosa ascesa dell’uranio sui mercati internazionali delle materie prime, il cui prezzo è triplicato rispetto al 2021. Dall’inizio dell’invasione, Mosca ha esportato carburante nucleare in Europa e America per un controvalore di alcuni miliardi di dollari, pari rispettivamente al 17 e al 12 per cento del fabbisogno dell’industria nucleare europea e americana.

E poi ci domandiamo perché non funzionino le nostre sanzioni contro la Russia! Correndo tardivamente ai ripari, Usa, Regno unito, Canada, Giappone e Francia si sono accordati su di un progetto da 4,2 miliardi di dollari per triplicare l’attuale produzione di energia derivante dallo sfruttamento del nucleare civile. A tal fine, è allo studio un piano per la costruzione diffusa di piccoli reattori nucleari (Smr), che però necessitano di un particolare carburante di uranio noto come Haleu (High-Assay Low-Enriched Uranium), di cui guarda caso la russa Tenex ha il monopolio mondiale. Questo sconfortante panorama deriva dall’auto castrazione nucleare di un Occidente terrorizzato dal disastro di Fukushima del 2011, che ha fatto crollare gli investimenti previsti per il nucleare civile, sia in Europa che negli Usa. Con il paradosso che l’Ue continua a essere fortemente dipendente per le sue forniture elettriche dalle 18 centrali nucleari di fabbricazione russa costruite in Finlandia, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria e Repubblica ceca, che utilizzano esclusivamente barre di uranio fabbricate da Rosatom e Tenex. Con il che il cerchio si chiude!

Di recente, nel caso dell’Ucraina, si è riusciti a sostituire le barre di uranio nei reattori Made in Russia, grazie a un accordo tra Kiev e l’americana Westinghouse, l’unica azienda occidentale al mondo in grado di farlo. A oggi, e per parecchi anni ancora, non è pensabile sostituire interamente la produzione russa di uranio grezzo e arricchito. Questo perché, per aprire nel mondo nuove miniere e impianti di sfruttamento dei minerali di uranio, occorre molto tempo e grandi investimenti pubblico-privati, soprattutto nel campo dell’arricchimento e della conversione del minerale per l’alimentazione delle centrali Smr, in cui si rende necessario l’intervento di grandi capitali pubblici per sostenere gli ingenti oneri relativi. Del resto, basta osservare che Rosatom e Tenex sono aziende dello Stato, integralmente sussidiate dal Governo russo e fortemente in attivo, grazie alla loro situazione di monopolio mondiale. Ma, in tutto questo, alcuni esperti sottolineano come esista un rischio fondato che le ingenti risorse pubbliche, necessarie per il rilancio del nucleare avanzato, vadano a finanziare progetti fine a se stessi, che hanno forse grande rilevanza dal punto di vista scientifico, ma scarsa o nulla applicazione per la diffusione di un nucleare sicuro che rafforzi lo sviluppo economico mondiale. Ma la storia del nucleare è come una strada piena di dossi e, tra balzi e sobbalzi, prima o poi si arriverà al mare grande della fusione nucleare e, allora, addio ricatto energetico dell’Opec e consociati!

Aggiornato il 16 febbraio 2024 alle ore 09:37