Un Perù da fare avanzare, parla Javier Zuñiga Quevedo

Tre presidenti in Perù in una settimana. Il 9 novembre Martín Vizcarra, che il Congresso aveva messo sotto impeachment l’11 settembre con l’accusa di aver cercato di ostacolare un’indagine per corruzione nei suoi confronti, è stato deposto dallo stesso Congresso con 105 voti contro 19 e 4 astensioni per “incapacità morale”: un termine vago risalente al XIX secolo, e in relazione a uno scandalo risalente al 2014. Gli succede il giorno dopo il presidente del Congresso, Manuel Merino, che però dopo appena 5 giorni è costretto alle dimissioni da una violenta protesta di piazza. Dal 16 novembre è dunque eletto presidente del Congresso e del Paese Francisco Sagasti. Una cosa da ricordare è che sia i Peruanos Por el Kambio da cui proveniva Vizcarra che Acción Popular di Merino e il Partido Morado di Sagasti sono partiti più o meno considerabili come varianti di una stessa ideologia di centrismo liberale. Difficile dunque decifrare le coordinate ideologiche di questa situazione. Un’altra cosa da ricordare è che Vizcarra non era stato eletto dal popolo, ma era il vicepresidente del presidente eletto Pedro Pablo Kuczynski, che si era insediato il 28 luglio 2016 ed era stato a sua volta costretto alle dimissioni il 23 marzo del 2018, per uno scandalo di video da cui risultava una contrattazione di voti al Congresso. Dal 19 aprile del 2019 Ppk, come lo chiamavano, è dunque agli arresti domiciliari.

Ma tutti i presidenti peruviani eletti dal popolo dal 1985 in poi hanno avuto guai giudiziari. Alberto Fujimori, oriundo giapponese che era stato eletto col voto della sinistra per bloccare lo scrittore liberale Mario Vargas Llosa ed ha invece poi sterzato a destra, dopo 10 anni di presidenza dal 28 luglio 1990 al 21 novembre 2000 è stato costretto da un altro scandalo di video compromettenti a dimissioni che il Congresso ha trasformato in destituzione per “incapacità morale permanente”, è stato estradato dal Cile il 22 settembre del 2007 ed è da allora detenuto, colpito da quattro condanne anche per omicidio. Alejandro Toledo, economista indio presidente dal 28 luglio 2001 al 28 luglio 2006, fu arrestato negli Stati Uniti il 16 luglio 2019 con una richiesta di estradizione per corruzione, ed è libero su cauzione dal 19 marzo 2020. Alan García, leader dello storico Partito Aprista, dopo un primo mandato fortemente populista che dal 28 luglio 1985 al 28 luglio del 1990 si era concluso in un clima di grave inflazione e e ancora più grave minaccia terrorista da Sendero Luminoso, dopo un secondo mandato più pragmatico dal 28 luglio 2006 al 28 luglio 2011 è finito sotto inchiesta per lo scandalo Odebrecht, e per evitare l’arresto il 17 aprile 2019 si è suicidato con uno sparo alla testa. E Ollanta Humala, ufficiale populista che dopo essersi presentato come un Chávez peruviano aveva svoltato anche lui in chiave moderata durante il suo mandato dal 28 luglio 2011 al 28 luglio 2016, pure lui il 13 luglio 2017 fu detenuto per lo scandalo Odebrecht, e dal 26 aprile 2018 si trova in regime di liberà ristretta. Insomma, una situazione complicata da decifrare. Per farci dare una mano a capirla abbiamo rivolto qualche domanda a Javier Zuñiga Quevedo: un economista e analista, decano della Facoltà di Economia della Università di Lima.

In Perù tutti i presidenti eletti dal popolo dal 1985 sono finiti in prigione, tranne uno che si è suicidato per evitarlo. A quanto pare il licenziamento di Vizcarra corrispondeva a questo copione, anche se non era stato eletto dal popolo, ma era subentrato dopo la destituzione dell’ultimo presidente eletto. Eppure, stavolta c’è stata in suo favore una mobilitazione popolare. Come mai?

La corruzione è stata una costante in Perù, come in molti altri paesi. Tuttavia, negli ultimi tre anni, il lavoro della procura Anticorruzione si è intensificato, per via della richiesta di giustizia da parte dell’opinione pubblica. Il Congresso del Perù ha voluto giustificare l’espulsione del signor Vizcarra dalla presidenza della Repubblica con la figura dell’incapacità morale. Incapacità morale, secondo il legislativo, per essere coinvolto in atti di corruzione, che però non sono stati ancora provati. Alcune settimane prima della dichiarazione di vacazione presidenziale il Congresso ha ricevuto una serie di audio di Vizcarra dove lo si ascoltava che coordinava la sua difesa per il caso “Richard Swing” con il legislatore Edgar Alarcón, su cui pende una richiesta di 12 anni di carcere per corruzione. In seguito, sono state presentate prove dubbie di atti di corruzione di Vizcarra al tempo in cui era stato governatore regionale di Moquegua, a opera di “aspiranti a collaboratore efficace”. Nonostante la pandemia di Coronavirus, i cittadini peruviani sono scesi in piazza, per alzare la voce di fronte agli atti di destabilizzazione politica, economica e sociale che il Congresso ha provocato nel Paese. Più che difendere Vizcarra, il Perù si è ribellato perché siamo ormai stanchi di dover eleggere autorità che cercano il proprio beneficio e non il benessere della popolazione.

Il Perù è attualmente il terzo Paese al mondo in termini di numero di morti per Covid-19 in rapporto alla popolazione, e il primo in America Latina. Tuttavia, è stato un Paese che ha immediatamente adottato le misure raccomandate dall’Oms. È vero che c’era il problema che si trattava di misure inadeguate per un Paese con un’economia in gran parte informale?

Il Governo ha dato la priorità alla salute: il Perù è rimasto paralizzato per 109 giorni, raggiungendo la più grande diminuzione del nostro Pil ad aprile (-40,49 per cento). Senza alcun dubbio, è stata una opzione quasi obbligata imporre una quarantena per cercare di fermare il contagio del Coronavirus. Tuttavia, non eravamo preparati ad agire con la rapidità che ci sarebbe voluta per proteggere la popolazione e l’economia familiare. In Perù, i dati dell’Istituto nazionale di statistica e informatica (Inei) indicano che il 73 per cento della popolazione nel 2019 era composta da lavoratori informali, molti dei quali senza risparmi per sostenere più di tre mesi senza lavoro. A motivo di ciò, nel mese di marzo è stato istituito il bonus “Io resto a casa” con l’obiettivo di andare a beneficio delle famiglie più vulnerabili, quelle che fanno anche parte del settore del lavoro informale. Poi si è andata creando un’altra serie di buoni, come il “buono indipendente” che, come suggerisce il nome, si rivolge ai lavoratori indipendenti. Anche il “buono rurale” e, da ultimo, il “buono familiare universale”. Ma la critica a questo tipo di politica è che non è arrivata, nella sua totalità, alla gente a cui veramente avrebbe dovuto arrivare. Un chiaro esempio è la distribuzione di panieri alimentari delle Amministrazioni locali che, in molti cosi, si è scoperto che avevano iscritto nella lista dei beneficiari i dipendenti pubblici. Questo è uno dei motivi per cui molti peruviani sono stati costretti a continuare a andare in strada a lavorare come venditori ambulanti.

Il Perù era un paese in cui l’economia stava andando relativamente bene. Questa crisi sanitaria e politica distruggerà il modello? O potrebbe essere un’opportunità di modernizzazione? Ci sono ad esempio studi secondo i quali per effetto della presente situazione in tutta l’America Latina ci sarebbe in questo momento un aumento della formalizzazione bancaria.

La forza macroeconomica del Perù ha consentito al Paese di continuare a crescere in termini di Pil negli anni 2017 (2,5 per cento), 2018 (4 per cento) e 2019 (2,2 per cento). Anni comunque caratterizzati dalla scoperta della corruzione a livello regionale dovuta al caso Lava Jato e alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. A gennaio, il Perù stava emergendo come il secondo Paese con la più alta crescita economica nella regione dell’America Latina con il 2,6 per cento. Ora siamo il Paese che chiuderà il 2020 con il tasso di Pil più basso della regione (-13 per cento), come conseguenza della pandemia Covid-19. Indubbiamente, questi 109 giorni di quarantena e il minor dinamismo della domanda internazionale hanno gravemente colpito l’economia peruviana. Ora, sebbene negli anni precedenti siamo cresciuti a tassi che sfidavano la situazione internazionale e locale, il modello economico non era necessariamente il migliore. La gestione Banco central de reservas del Perú e del ministero dell’Economia e delle Finanze è encomiabile, anche nel pieno della pandemia, Tuttavia, la crescita economica dei più piccoli non è stata una questione importante negli ultimi anni. Tassi di interesse eccessivamente alti per i piccoli imprenditori e scarsi rendimenti dai fondi pensione privati, per citarne alcuni, sono problemi di vecchia data. Questa pandemia è venuta per far emergere di più questi problemi. Ma il problema del modello economico diventa una minaccia quando si vogliono utilizzare queste carenze a fini politici, senza pensare al benessere economico generale, come è visto in questi ultimi giorni.

Qual è lo scenario più probabile per la soluzione di questa crisi?

La comunicazione e la concertazione. Il Congresso dovrebbe rappresentare i peruviani, ma non ci siamo visti in alcun modo rappresentati. Più che necessario, è fondamentale che i distinti gruppi parlamentari mettano da parte le loro differenze politiche per lavorare insieme a progettare politiche a favore della popolazione, raccogliendo i bisogni e le proposte che i cittadini stessi formulano: in questi giorni siamo stati testimoni del fatto che la gioventù può dare un grande contributo su questi temi.

Le denunce dell’Onu sugli eccessi delle forze dell’ordine del fronteggiare le proteste. La morte di due manifestanti e la rinuncia del nuovo presidente dopo appena cinque giorni suggeriscono un quadro grave. È così?

È una situazione nefasta, al di là della questione economica, rispondere alla richiesta della popolazione dopo la morte di due giovani, Inti Sotelo e Bryan Pintado. Purtroppo, il Congresso del Perù ha mostrato in questi giorni il suo volto più crudo, portando avanti politiche a favore del declino educativo quando aveva l’opportunità di attuare misure per uscire da questa crisi economica e sociale. Da quando Vizcarra ha inaugurato un nuovo Congresso e il popolo ha scelto i propri rappresentanti, la stragrande maggioranza dei legislatori, piuttosto che lavorare a favore del Paese, ha criticato fino in fondo la gestione di Vizcarra, proponendo politiche economiche tecnicamente irrealizzabili. L’improvvisa destituzione di Vizcarra si era ripercossa sul prezzo del dollaro, sui titoli di Stato e sul rischio Paese. Dopo le due morti e la partenza dell’ex presidente ad interim, Manuel Merino, la situazione avrebbe potuto ulteriormente peggiorare. Dopo la nomina del nuovo presidente della Repubblica, bisogna che la società, governanti e cittadini, lavoriamo assieme per far avanzare il Perù.

(*) Tratto da Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 11 dicembre 2020 alle ore 09:45