Intervista esclusiva ad Andrea Marcigliano, politologo italiano, senior fellow presso il centro di analisi per gli studi geopolitici “Il Nodo di Gordio”.
Signor Marcigliano, come sa, la guerra tra Azerbaigian e Armenia si è conclusa con un accordo trilaterale, secondo il quale l’Armenia ritira le sue truppe dalle aree precedentemente occupate. Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev ha affermato che è stata creata una nuova realtà e, di conseguenza, le decisioni saranno prese in un modo nuovo, senza guardare indietro ai principi di Madrid e Kazan che sono caduti nell’oblio. Inoltre, il capo dello Stato ha sottolineato che non ci sarebbe nemmeno l’autonomia. Pensa che la sconfitta dell’Armenia, la resa delle aree e il fallimento sul fronte diplomatico porteranno a una rivolta a Yerevan e, di conseguenza, alla ripresa della guerra?
A mio parere, il diritto internazionale non ha molta importanza quando un tale conflitto viene risolto. In realtà, ha cessato di essere qualcosa di fondamentale quando l’Armenia, contrariamente alle norme del Diritto internazionale, ha occupato sette province azerbaigiane, ne ha mantenuto illegalmente il controllo per molti anni e ha costretto la popolazione azera a diventare rifugiata. Tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano l’aggressione armena sono sempre rimaste lettera morta. Per quanto riguarda la responsabilità dell’attuale leadership di Yerevan di fronte a una sconfitta militare la resa porterà a un prevedibile confronto interno. I primi segni di cui sono già visibili.
Le autorità azere hanno annunciato che chiederanno all’Armenia 50 miliardi di dollari per i danni causati. Ma, come sappiamo, l’Armenia non ha quei soldi, nemmeno un decimo. In che modo il Diritto internazionale regola il recupero del risarcimento da una parte di colui che non ha abbastanza soldi?
Non mi sembra che esistano regole veramente uniformi per valutare i danni causati dalla guerra. La storia insegna una lezione molto semplice: il vincitore fa le sue regole. E il vincitore, credetemi, sa come farlo. Inoltre, il buon senso politico ci fa pensare che non sia necessario imporre ai vinti dettami troppo duri e spingere al limite il Paese sconfitto. La destabilizzazione di un Paese rappresenta sempre un rischio per l’equilibrio complessivo dell’intera regione.
I media russi (“Avia.pro”) hanno diffuso informazioni sul fatto che le forze di pace russe nella regione di Agdam erano state attaccate dai separatisti armeni che non volevano rispettare i termini dell’accordo trilaterale. Come può essere valutato? Come un gesto di disperazione? O l’odio per la Russia che, secondo gli armeni, li ha “traditi”?
La Russia ha espresso il desiderio di porre fine alla crisi caucasica. Il Cremlino ora deve allentare le tensioni con Ankara. Ed è improbabile che sia d’accordo sul fatto che gli estremisti armeni prevarranno e accenderanno un conflitto che danneggerà gli interessi internazionali della Russia. Vladimir Putin non è disposto a sopportare il fatto che i vecchi rapporti con l’Armenia si stiano trasformando in un peso per la sua politica estera. E che un ritorno alla situazione di instabilità nel Caucaso non soddisfa gli interessi strategici di Mosca. Penso che i russi giocheranno in modo molto deciso e gli armeni saranno costretti a rispettare gli accordi. Anche se i russi dovessero usare la forza.
(*) Traduzione dell’intervista ad Andrea Marcigliano tratta da “Il Nodo di Gordio” a cura di Yusuf Poladov, per “Zerkalo”
Aggiornato il 21 novembre 2020 alle ore 09:18