Lunedi 9 novembre alle 22 locali è entrato in vigore il “cessate il fuoco totale” tra Armenia e Azerbaigian per il conflitto nel Nagorno-Karabakh. L’annuncio è stato dato dal presidente russo Vladimir Putin che ha sottolineato l’importanza dell’accordo raggiunto; tale intesa ha ulteriormente rafforzato la Russia nel ruolo di arbitro nell’area caucasica. L’Armenia è stata costretta ad un cessate il fuoco: quaranta giorni di duri combattimenti hanno permesso all’Azerbaigian di riguadagnare parte della regione persa nel 1994 e di negoziare da una posizione di forza. Per garantire la pace Mosca da martedì 10 sta schierando oltre un centinaio di carri armati e circa 2 mila soldati al confine armeno, con lo scopo di impedire violazioni del cessate il fuoco stabilito tra le parti.
Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan e il presidente Putin, hanno firmato l’intesa che sancisce, oltre il cessate il fuoco totale, anche la fine di tutte le azioni militari nella zona del conflitto, congelando le posizioni occupate al momento della stipula dell’intesa. Ovviamente il presidente azero Aliyev ha accolto con favore quella che considera una “resa” dell’Armenia, accentuando, forse impropriamente, un successo non ancora conclamato e non privo di risvolti politici a breve termine. Aliyev ha esaltato, populisticamente, un’intesa conveniente ma forse non guadagnata con le proprie forze “sul campo”, esaltando la cacciata degli armeni dalla terra azera. Dopo il suo annuncio sulla tv nazionale dove ha dichiarato “abbiamo costretto Nikol Pashinyan a firmare il documento che equivale a una capitolazione”, martedì 10 sono seguite nella capitale azera Baku, scene di giubilo nell’ascoltare le parole che hanno acceso gli animi azeri e che hanno confermato la promessa fatta, “avremmo cacciato gli armeni dalle nostre terre come cani e lo abbiamo già fatto”. Al momento non si può negare che l’Azerbaigian abbia ripreso due aree ad oriente del Nagorno-Karabakh perdute negli anni Novanta ed il cessate il fuoco totale, negoziato lunedì sera, rende validi una serie di successi militari che però, senza il determinante ausilio dei mercenari siriani assoldati dalla Turchia, non si sarebbero verificati. Inoltre, la presa della città karabakho-armena di Shusha, taglia quel cordone stradale che lega la regione del Nagorno a l’Armenia.
Nikol Pashinyan, capo del Governo armeno, in un accorato annuncio fatto sulla sua pagina Facebook pochi minuti prima della sottoscrizione dell’accordo, ha detto “ho firmato una dichiarazione con i presidenti di Russia e Azerbaigian per la fine della guerra in Karabakh”, definendo questa scelta “incredibilmente dolorosa per me e per la nostra gente; ho preso questa decisione dopo un’analisi approfondita della situazione militare e una valutazione di coloro che conoscono meglio la situazione. La decisione si basa anche sulla convinzione che questa sia la migliore soluzione possibile alla situazione attuale”. E ha aggiunto: “Non è una vittoria, ma non c’è perdita finché non ti riconosci come un perdente. Non ci vedremo mai dei perdenti e questo dovrebbe essere l’inizio della nostra era di unificazione e rinascita nazionale”.
La reazione di migliaia di cittadini armeni, appena è stato annunciato l’accordo, è stata quella di manifestare inferociti vicino alla sede del Governo. Secondo quanto si vede scorrere sui media locali, in centinaia sono entrati nelle stanze della sede governativa, demolendo gli ingressi e saccheggiando gli uffici, inclusa la stanza del gabinetto presidenziale, pronunciando all’unisono “Nikol è un traditore”. Tuttavia, martedì la polizia armena aveva già ripreso il controllo della sede del Governo e del Parlamento nella capitale Yerevan. Nella stessa mattinata di martedì, la polizia locale aveva organizzato un cordone antisommossa posizionato di fronte alla sede del Governo.
Dalla fine di settembre i combattimenti, i più sanguinosi degli ultimi trent’anni, hanno visto fronteggiare l’esercito armeno, insieme a quello karabakho-armeno, contro l’esercito azero; Baku ha sempre preteso di riprendere il controllo di questa provincia che si è resa autonoma per ragioni storico-etniche, ma anche religiose, dall'inizio degli anni Novanta. Come detto, i “giochi” non ritengo siano chiusi, infatti Emmanuel Macron chiede un accordo che “salvaguardi gli interessi dell’Armenia” e che si lavori per una “soluzione politica duratura”. Inoltre, il presidente francese ha intimato a Recep Tayyip Erdogan “di porre fine alle sue provocazioni sul Nagorno-Karabakh, di mostrare moderazione e di non fare nulla che comprometta la possibilità di un accordo duraturo negoziato tra le parti e nel quadro del Gruppo di Minsk”. Oggi Ankara saluta la “grande vittoria” dell'Azerbaigian sull’Armenia, esaltando i guadagni territoriali dell’Azerbaigian, ma i conti in questi casi bisogna attendere a farli. Inoltre, il Nagorno Karabakh è popolato quasi esclusivamente da armeni: questo territorio era stato annesso all’Azerbaigian durante l’era sovietica, ma non può non considerarsi facente parte integrante della storia armena.
Aggiornato il 12 novembre 2020 alle ore 11:53