Doloroso e struggente, ma anche inverosimile: è stato questo il funerale del prof. Samuel Paty svoltosi a Parigi l’altro ieri. Chi avrebbe potuto immaginare una simile deriva da film dell’orrore nella Francia (e nell’Europa) di oggi? Da Afghanistan, Siria e Libia, le decapitazioni degli “infedeli” sono giunte fino a noi. Si pensava fossero “cose” di mondi lontani, distanti anni luce dall’isola felice europea. Ma il non guardare in faccia la realtà, quando mostra i suoi tratti più brutti ed efferati, porta prima o poi con sé costi altissimi da pagare, in termini di vite umane e instabilità nella vita sociale e politica.
La Francia sembra finalmente intenzionata a mobilitare le proprie “truppe”, in quella che ha assunto i contorni di una guerra a tutti gli effetti. Meglio troppo tardi che mai, sebbene la decapitazione di Paty, l’ultimo tragico episodio nella sanguinosa saga di attacchi legati alla rivista Charlie Hebdo, sia la riprova del fallimento nella lotta al terrorismo e alla radicalizzazione da parte della République.
L’estrema tolleranza verso l’estremismo affonda le sue radici negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, con la cosiddetta prima generazione di immigrati. È quella l’epoca in cui ha luogo la prima semina dell’islamismo in Francia, su un terreno senza guardie e custodi. Un terreno di cui i Fratelli musulmani in particolare sono stati pronti ad approfittare, coltivandolo a dovere nel corso dei decenni successivi, in maniera pressoché indisturbata, se non agevolata da uno stato di “diritto” che all’estremismo ha garantito una sostanziale libertà di espressione e di organizzazione.
Il raccolto è quello di oggi, con una miriade di associazioni, moschee, imam, “scuole”, “influencer” sui social media, militanti appartenenti a ogni categoria sociale, famiglie, genitori e figli, contagiati dal virus islamista inoculato dai Fratelli musulmani, viatico per il terrorismo jihadista con finanziamenti provenienti dall’estero (leggasi “Qatar Papers”). Non si tratta però di una scoperta recente. Le autorità francesi ne sono consapevoli da tempo e così la popolazione, che assiste da anni, quando non ne è rimasta vittima, a uno stillicidio di stragi, sparatorie e accoltellamenti.
Il mero contenimento del fenomeno non poteva bastare, eppure le autorità francesi non si sono mai realmente discostate da questo approccio. Dopo gli attentati del 2015 rivendicati dall’Isis (Charlie Hebdo, Bataclan), si è registrata una stretta sulla libertà di espressione di cui avevano goduto certi imam radicali e sulla libertà d’insegnamento di alcune scuole fondamentaliste. Ma il mostro non è stato combattuto con la forza necessaria a sconfiggerlo, o quanto meno a impedirgli di riprodursi.
Un’idra dalle molteplici teste, terrorismo e radicalizzazione hanno così potuto continuare a diffondersi tra le seconde e le terze generazioni, impossessandosi anche di soggetti giunti da poco in Francia da paesi non arabi, come il giovanissimo ceceno Abdullakh Anzorov, boia del professor Paty, e il pakistano che solo qualche settimana prima ha ferito due persone con una mannaia nei pressi della vecchia sede di Charlie Hebdo.
Annunciando la legge contro il “separatismo” all’inizio di ottobre, il presidente Macron ha voluto imprimere la svolta a lungo attesa, nella consapevolezza che non fosse più rinviabile, alla luce del profondo e vasto radicamento raggiunto dall’estremismo, che punta a costituire realtà territoriali con sovranità e legislazione indipendente rispetto allo Stato centrale. Una minaccia concreta alla sicurezza, all’integrità territoriale e all’esistenza della Francia, cresciuta a tal punto da essere ben avviata a materializzarsi, raggiungendo gli obiettivi prefissati.
La decapitazione di Paty, avvenuta a Conflans-Sainte-Honorine, alla periferia di Parigi, è una risposta, ben assestata, all’intenzione di Macron di combattere l’islamismo, questa volta sul serio. Le dinamiche dell’attacco terroristico sono ora al vaglio degli inquirenti, ma quanto trapela dalle indagini ed è riportato sui media offre già un quadro emblematico e inquietante dell’articolazione delle relazioni e delle reti sociali manovrate dall’estremismo, che raggiungono i banchi di scuola, con il possibile coinvolgimento di studenti del docente nei preparativi della sua barbara uccisione. Un’uccisione senza precedenti da cui non poteva non promanare il solito cattivo odore dei Fratelli musulmani.
I sospetti sull’autore della fatwa contro Paty, reo di aver mostrato in classe le famose vignette su Maometto pubblicate da Charlie Hebdo, convergono infatti sull’islamista radicale Abdelhakim Sefrioui, il fondatore di un’associazione legata ad Hamas che accompagnò il padre di una studentessa dalla preside dell’istituto per richiedere il licenziamento del docente. Resta da stabilire se Anzorov, ucciso dalla polizia intervenuta sul luogo del delitto, abbia agito per dare effetto alla fatwa di Sefrioui o se quest’ultimo sia in qualche modo implicato direttamente nella vicenda. Per il momento, la sua associazione è stata sciolta e si parla di scioglimento anche per altre associazioni, oltre che dell’espulsione di centinaia di militanti e della chiusura di moschee radicali.
Il provvedimento ha fatto scattare immancabilmente la reazione del presidente turco Erdogan, grande protettore dei Fratelli musulmani, Hamas compreso, insieme ai ricchi emiri del Qatar. Erdogan non si è lasciato sfuggire l’opportunità di accusare Macron di strumentalizzare la decapitazione di Paty per attaccare l’islam, soffiando sul fuoco della propaganda e delle narrative dei professionisti dell’islamofobia, particolarmente attivi in Francia e legati alla Fratellanza. Nulla di più falso, perché Macron, nel suo discorso in occasione del funerale, ha precisato a chiare lettere che il nemico non è l’islam in quanto tale, ma “l’ideologia radicale islamista che ha l’obiettivo di decostruire la Repubblica”.
Anche nell’annunciare la legge contro il “separatismo”, Macron non aveva puntato il dito contro l’islam, ma sull’”estremo indurimento delle posizioni” che ne ha causato la crisi. Eppure, il ministero degli Esteri turco aveva minacciato la Francia di “serie conseguenze”. Poi, a pochi giorni di distanza, la tragica morte di Paty: le strade del terrorismo e della radicalizzazione che hanno armato la mano di Anzorov portano, o partono, dalla Turchia di Erdogan?
(*) Tratto da il Sussidiario.net
Aggiornato il 23 ottobre 2020 alle ore 12:07