La figlia di Erdogan difende la Convenzione di Istanbul

Per frenare gli attacchi alla Convenzione di Istanbul, e chiedere al presidente turco Recep Tayyip Erdogan di non abbandonarla, è scesa in campo anche la sua figlia prediletta, Sumeyye.

“La priorità - dichiara l’associazione delle donne islamiche Kadem, di cui Sumeyye è vicepresidente - è combattere la violenza contro le donne”. E un ritiro di Ankara dal trattato - aperto alla firma proprio a Istanbul nel 2011 e ratificato dalla Turchia l’anno successivo, primo Paese in assoluto - difficilmente aiuterebbe a ridurla. “Dire che questa convenzione determina una legittimazione degli orientamenti omosessuali mostra per lo meno una cattiva intenzione”, sostiene inoltre Kadem, sottolineando così di non voler essere mischiata con la propaganda dei “movimenti immorali”.

Ma la battaglia contro gli assalti islamisti, in questo caso, è comune a quella condotta dalle donne laiche in piazza e sul web. L’impegno di Sumeyye Erdogan in Bayraktar, 35 anni questo mese, ha stupito diversi osservatori. Sia perché è stata più volte criticata dalle femministe per la difesa di posizioni ritenute conservatrici, sia perché il suo endorsement alla Convenzione rischia di mettere in imbarazzo il padre-presidente. Tanto più che il fratello 39enne Bilal, un altro dei quattro figli di Erdogan, si è invece esposto contro la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. Non certo per mostrare indulgenza verso i crimini di genere, ha assicurato la sua fondazione giovanile Tugva, ma perché diversi articoli del documento rischierebbero di diffondere valori contrari alla famiglia tradizionale e fare propaganda per la comunità lgbt. Argomentazioni analoghe a quelle di alcuni big dell’Akp, il partito al governo da quasi 18 anni, e della Polonia, che ha annunciato di voler abbandonare il protocollo. Una guerra in famiglia in cui l’ultima parola spetterà, come sempre, al ‘Sultano’. In Turchia il problema della violenza contro le donne resta allarmante. Le attiviste denunciano anzi che la Convenzione di Istanbul non è mai stata applicata in pieno, negando nella pratica forme efficaci di protezione. Lo scorso anno, rileva la piattaformaFermiamo i femminicidi”, si è registrato il record negativo di 474 vittime. E se il trattato venisse abbandonato, avvertono, si rischia una situazione ancora più grave.

Aggiornato il 05 agosto 2020 alle ore 15:09