Ho letto con un senso di costernazione e di sgomento l’articolo pubblicato questo 23 giugno su L’Opinione, intitolato “Armenia: democrazia in dubbio e il mistero dell’ambasciata in Vaticano”.
Purtroppo, con questa pubblicazione l’autore Domenico Letizia si unisce alle forze che strumentalizzano la situazione interna dell’Armenia (compresa quella della pandemia) per criticare il governo armeno – forze che si uniscono intorno ad una costante iniziativa revanscistica, per portare l’Armenia indietro, verso la perdita dei frutti della Rivoluzione di Velluto del 2018 e lo smantellamento dei diritti democratici del popolo armeno. Interpretando frammenti separati dall’intero contesto della realtà armena, sotto la luce del numero attuale dei contagiati Covid-19 nel Paese, l’autore scrive: “Una situazione che risulta allarmante, la peggiore tra i Paesi del Caucaso Meridionale. Pashinyan, noto alle cronache internazionali, per aver condotto la rivoluzione di velluto nella primavera del 2018, riuscendo a rovesciare il regime militare (G.G.), aveva creato aspettative nella comunità internazionale per un futuro del Paese all’insegna di una vera democrazia. Tuttavia, dopo le elezioni parlamentari del dicembre 2018, uno dei primi passi compiuti come nuovo primo ministro del Paese è stato l’avvio di persecuzioni su larga scala dei suoi rivali politici. Sotto le istruzioni dirette di Pashinyan, sono stati avviati procedimenti penali contro [...]”.
I commenti dell’autore sembrano essere viziati da interessi o livori personali. Dalla lettura dell’articolo, infatti, non si evincono solo giudizi gratuiti e di parte, presentati come fatti, ma anche posizioni del tutto sconnesse da qualunque realtà fattuale o morale. Partiamo dal presupposto che nella Repubblica di Armenia non è mai esistito ‘un regime militare’ per definizione (neppure in epoca sovietica). Questi fatti, e le informazioni ad esso connesse, risultano presupposti elementari per chiunque affronti anche da profano la storia della Repubblica d’Armenia, quella indipendente del 1918, quella sotto egida sovietica, e infine quella della Repubblica sorta nel 1991 che oggi conosciamo. L’autore dell’articolo, esperto di politica internazionale, dovrebbe quindi astenersi dal pubblicare simili sciocchezze, rispettando al contempo l’intelligenza dei lettori.
In seconda istanza, l’autore parla di “persecuzioni in corso”, attribuendo al livore personale dettato dalla sola volontà del premier ai processi penali in corso “nei confronti dei suoi avversari”. Anche qui premettiamo che né giuridicamente, né moralmente e neanche politicamente si tratta di processi dettati da una sola persona per risolvere problemi personali non solo perché tali livori personali non esistono ma anche perché il sistema giuridico e quello giudiziario armeno non permettono abusi monocratici di alcun genere.
Le “vittime” delle cosiddette “persecuzioni” menzionate nell’articolo (ovvero Robert Kocharyan, Serzh Sargsyan, Hayk Sargsyan, Narek Sargsyan, Levon Sargsyan, Narek Sargsyan, Michael Minasyan e altri) sono noti al popolo armeno come rappresentanti di una famiglia, battezzata già da vent’anni dai media armeni come il cosiddetto “Karabakh clan”. Questo dato va sottolineato a beneficio dell’autore dell’articolo, apparentemente ignaro di molti dettagli significativi. In realtà, i suddetti “perseguitati” sono presi di mira dal popolo armeno, che da anni li vede coinvolti in diversi reati, li conosce come fondatori e sostenitori di una struttura oligarchica che ha posseduto satanicamente e strangolato per oltre vent’anni le istituzioni democratiche armene, nonché ha controllato il territorio in diverse regioni dell’Armenia sovvenzionando e nutrendo direttamente e indirettamente famiglie mafiose locali. Il potere nell’ideazione e nell’ottica di tale clan era fondato sulla struttura gerarchica rigidissima, un sistema corrotto instauratosi nella forma di una piramide – fatti analizzati e presentati in numerose pubblicazioni in diverse lingue (un paio di click sarebbero bastati per trovarne almeno alcune per informarsi).
Serzh Sargsyan aveva come pilastri del suo potere autocratico i suoi due fratelli Aleksander e Levon; al primo aveva assegnato il ruolo di una specie di Agenzia fiscale del clan, che raccoglieva il pizzo, spesso applicando metodi di terrore nei confronti di chi volesse svolgere attività imprenditoriali in Armenia senza pagare 50 per cento del profitto al suo sistema corrotto, una funzione per la quale Aleksander Sargsyan (soprannominato Sashik) era noto in tutta la Repubblica di Armenia e nella diaspora come il “Signor 50 per cento”; al secondo fratello, Levon (Lyova) Sargsyan, aveva assegnato il ruolo di Ambasciatore con incarichi speciali, il quale aveva la funzione di pescare investimenti e costruire reti di collaborazioni tramite il Ministero degli Esteri, (ricordiamo all’autore, che Lyova Sargsyan è stato coinvolto come imputato nel processo penale riguardante il progetto incompiuto della costruzione “dell’Asse Nord-Sud dell’Armenia” il quale ha lasciato il Paese con un danno erariale di circa 43 milioni di euro). La rete delle ambasciate e le nomine presso le rappresentanze dell’Armenia all’estero erano controllate da Michael Minasyan (genereo dell’ex presidente Serzh Sargsyan), visto dall’autore dell’articolo come un’altra “vittima delle persecuzioni”: “Il procedimento penale maggiormente oggetto di discussione nel Paese caucasico è quello legato a Michael Minasyan, genero di Sargsyan, già ambasciatore di Armenia in Vaticano. L’ambasciatore è stato inserito nella lista ufficiale dei criminali internazionali ricercati dal Paese. Ufficialmente non è conosciuta la sua posizione attuale, ma secondo fonti non ufficiali della comunità armena in Italia, il diplomatico sembra nascondersi proprio nel nostro Paese. Minasyan è accusato di frode, riciclaggio di denaro e dichiarazione illecita di dati economici”.
Un piccolo chiarimento, che Domenico Letizia, per ragioni sconosciute, ha volutamente trascurato, consiste nel fatto che Michael Minasyan (soprannominato Miscik) è stato coinvolto in qualità di imputato in un caso nel quale è stato accusato secondo gli articoli del Codice penale della Repubblica di Armenia nn. 310.1– I – sull’arricchimento illegale, 314.3-II – sul nascondere fatti particolarmente rilevanti soggetti ad essere dichiarati, art. 190 – III punto 1 - sulla legalizzazione delle proprietà di considerevoli dimensioni ottenute per via criminale. Secondo varie pubblicazioni reperibili in Internet il patrimonio finanziario ripulito veniva versato sui conti off-shore registrati nelle Isole Vergini Britanniche.
L’autore non fa alcun riferimento alle biografie e al passato delle persone come Robert Kocharyan (al nome del quale sono legati decenni di terrore e le repressioni sanguinose del 1 marzo 2008) o Gagik Tsarukyan, il quale viene laconicamente introdotto dall’autore come ‘presidente del partito “Armenia Prospera” e uomo d’affari locale’. Comunque, quest’ultimo (al quale è stata revocata l’immunità al parlamento armeno) è noto in Armenia per essere in primis tra gli oligarchi più potenti ed esposti del Paese, invece il suo partito era stato creato all’epoca dal clan per appoggiare anche le iniziative imprenditoriali che, secondo numerose pubblicazioni, facilmente aggiravano la legge prima del 2018. L’autore sembra ignaro anche dei fatti biografici di Tsarukyan relativi alla condanna per un caso di stupro di gruppo aggravato da pratiche sadiche nel 1979 per cui lo stesso è stato condannato a 7 anni di carcere.
Inoltre, nell’analisi offerta ai lettori dell’Opinione, si definiscono come “discutibili” gli emendamenti [adottati al Parlamento armeno] alla Costituzione sui poteri del presidente della Corte costituzionale e degli altri membri – anche qui senza alcun riferimento alle attività e ai cenni biografici dell’ex presidente della Corte costituzionale e dei suoi membri. Aggiungo a pure scopo conoscitivo che attualmente non ci sono gruppi di attivisti “davanti all’ambasciata americana e alla delegazione dell’Ue”, non sono arrestate “centinaia di persone legate all’opposizione politica’ e non avvengono ‘arresti ingiustificati dei membri dell’opposizione politica” come leggiamo nell’articolo in questione. Posso concludere che l’autore del suddetto articolo ha ignorato una serie di fatti importanti della realtà armena post-rivoluzionaria. Mi pare doveroso ricordare, però, che una mezza verità è una bugia intera.
(*) Professore associato - Università Statale di Yerevan
Aggiornato il 03 luglio 2020 alle ore 09:00